
Leitch e Vedder partono, risalgono il Tevere, scoprono Piero e poi raffigurano gli scorci cari al maestro nato 550 anni fa
Brilli
Anche se non formano, come si dice, una cifra tonda, i 550 anni della nascita di Michelangelo (1475-1564) non possono essere lasciati passare sotto silenzio. Ce lo rammenta un inconsueto omaggio reso al luogo di nascita dell’artista da alcuni studiosi e pittori inglesi e americani, i quali ne parlano in un volume di rara piacevolezza. Nel 1872 due esperti di antichità classica da tempo residenti a Roma, William Davis e C.I. Hemans, progettano di risalire il Tevere, il fiume della storia, dall’estuario presso Ostia fino alla sorgente nel cuore degli Appennini.
Si tratta di una lunga escursione che nessuno ha mai fatto e che riserva non poche sorprese. Procedendo a cavallo e in alcuni tratti a piedi, essi intendono visitare città, paesi e villaggi che si trovano in prossimità delle rive del fiume e dei suoi affluenti. In questa impresa, ai due si aggrega il pittore R.P. Leitch e, da Perugia in poi, il famoso artista americano Elihu Vedder con il compito di corredare il volume con una serie di vedute e abbozzi paesaggistici. Vedder ha creato a Perugia una vera e propria colonia di artisti americani che in estate sogliono dipingere en plein air gli splendidi paesaggi del circondario. Raggiunta l’alta valle del Tevere con i compagni, William Davis, estensore della relazione che uscirà a stampa nel 1873, ci lascia una descrizione originale dei luoghi con i loro costumi e le opere d’arte.
Nella strada che da Città di Castello porta a Sansepolcro rimane colpito dal gran numero di altarini e di croci nere sulle quali sono stati inchiodati i simboli della passione del Signore, testimonianze del tempo in cui la strada era percorsa dai pellegrini di ritorno da Roma o dalla Terra Santa. Si dice infatti che alcuni di costoro, reduci da Gerusalemme, avrebbero lasciato là dove oggi sorge Sansepolcro alcune pietre della santa sepoltura le quali danno il nome al luogo. Durante la sosta nella città, Davis descrive il Cristo di Piero della Francesca che risorge dalla tomba, icona dell’uomo rinascimentale severo e imponente. Superata Sansepolcro, i viaggiatori procedono in direzione di Pieve Santo Stefano, ma nel punto in cui il torrente Singerna confluisce nel Tevere (oggi sbocca nell’invaso di Montedoglio), un contadino del posto che fa loro da guida li informa che su in alto, sulle rive scabre del torrente, sorge Caprese, il paese che ha dato i natali a Michelangelo. Il paesaggio è magnifico, particolarmente allettante per l’occhio dei pittori che ne rimangono estasiati.
I viaggiatori decidono all’istante di scalare la collina per raggiungere Caprese, inerpicandosi fra rocce vulcaniche e il franto pietrame di precipiti corsi d’acqua che fanno loro da strada. Alla fine giungono a sommo dell’altura dove vengono ampiamente ripagati della fatica dell’ascesa.
Davis prosegue infatti dicendo che ai loro piedi si svolge il corso sinuoso del Singerna contrassegnato da portentosi macigni, mentre tutto attorno si leva la frastagliata corona degli Appennini. Dinanzi, sul pianoro, ci sono poche umili case che formano il paese, mentre sulla parte alta si scorge un castello mezzo diruto, il vecchio municipio dove è nato Michelangelo, con accanto una piccola cappella moderna.
Viene mandato a chiamare colui che ha le chiavi dell’edificio il quale si trova impegnato nel lavoro dei campi. Nello stesso tempo i viaggiatori si mettono a suonare la campana della cappellina i cui rintocchi si perdono ad eco giù nella valle.
L’esterno dell’edificio comunale è ricoperto di targhe di pietra nelle quali sono incise le iniziali, le insegne e i blasoni dei podestà che si sono succeduti nel reggimento del castello. Parte di queste sono consunte dal tempo e dalle intemperie e invano i viaggiatori cercano quella del Buonarroti. Invece balza loro alla vista una lapide moderna di candido marmo che commemora la nascita del Regno d’Italia con Vittorio Emanuele.
Davis riferisce che al piano terra del palazzotto costruito in solida pietra ci sono, oltre un vano centrale, delle celle che, nell’ottica immaginifica del visitatore, potrebbero avere avuto la funzione di prigioni, mentre al secondo piano si trovano tre stanze che costituiscono la parte abitabile della casa, più una soffitta. Attraverso un arco semplice e disadorno si entra nella camera dove è nato Michelangelo. Essa appare a Davis non molto spaziosa, illuminata da una sola, oblunga finestra.
Compulsando le Vite di Giorgio Vasari, che in Italia i viaggiatori britannici si portano sempre appresso, Davis trascrive quanto annota l’illustre biografo: "Essendo podestà quell’anno del castello di Chiusi e Caprese, vicino al Sasso della Vernia, dove san Francesco ricevé le stimmate, diocesi aretina, nacque a Lodovico di Lionello Buonarroti un figliuolo il sesto dì di marzo, la domenica, attorno all’otto ore di notte, al quale pose nome Michelagnolo". Quel nome, prosegue Davis citando Vasari, gli era stato "ispirato da un che di sopra", cioè da una voce divina.
E con queste parole concordano gli altri del gruppo, mentre sul far della sera discendono dal colle di Caprese per riprendere il cammino lungo le sponde del Tevere.