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Il dolore dei profughi arrivati ad Arezzo: qui si sono integrati ma il pensiero è fisso al loro Paese ancora sotto le bombe
Via dalle bombe, via dalla morte. Tre anni dopo la guerra non è finita, l’Ucraina è in ginocchio e sul tavolo della politica internazionale c’è un accordo di pace ancora molto debole. Ma qui in tre anni è cambiato molto. Perchè ottocento ucraini hanno trovato proprio qui la salvezza, una prospettiva, la possibilità di andare avanti, un lavoro e una casa. E hanno deciso di non tornare in patria. Certo, il pensiero che stringe lo stomaco resta e quel dolore corre ogni giorno lungo le chat, i social, le videochiamate dalle città sotto le bombe russe. E se le radici non si spezzano, ad Arezzo e nel resto della provincia i profughi fuggiti dalla guerra hanno potuto ricostruire ciò che i missili e i droni hanno distrutto. Tre anni che lasciano il segno, un pò come i tre anni della pandemia, ma stavolta in positivo perchè qui l’accoglienza è scattata subito e ha coinvolto intere comunità. Una gara di generosità che è stata il seme di una nuova integrazione. Tre anni dopo la fuga, gli ottocento ucraini rimasti nel nostro territorio si sono inseriti senza difficoltà e hanno riconquistato la propria autonomia. Capofila della rete di accoglienza, la Prefettura che ha coordinato l’emergenza profughi in collaborazione con la Regione e i Comuni della provincia per "l’accoglienza di secondo livello", ovvero quella che conduce a una dimensione di vita stabile con un lavoro e una casa.
"Abbiamo messo in atto un piano d’intesa con la Protezione civile per accogliere i profughi nei Cas distribuiti a livello provinciale", spiega Leandro Peraino, dirigente dell’Ufficio immigrazione della Prefettura che ha seguito da vicino l’operazione. Accanto alla soluzione immediata per i profughi, quasi tutti donne, bambini e adolescenti, è scattato un piano di assistenza con una forte connotazione umanitaria che ha impegnato parrocchie, associazioni, mondo del volontariato. "Abbiamo potuto constatare la grande generosità delle persone: in molti casi i profughi ricevevano offerte di alloggio e aiuti per rendere più confortevole il soggiorno". Sul piano tecnico "è stato un impegno sfidante, perchè nelle prime fasi dopo lo scoppio della guerra, le famiglie ucraine avevano come punto di riferimento la prefettura. Tutti sono stati tutti accolti nei Cas e successivamente hanno proseguito il loro percorso, desiderando l’integrazione e impegnandosi per cercarsi autonomamente un lavoro. E i bambini e gli adolescenti hanno proseguito gli studi nelle scuole aretine". Immagini che Alla Garyachuk, insegnante da molto tempo ad Arezzo, rievoca in quei giorni terribili: "Ho partecipato a iniziative di solidarietà, ho aiutato i connazionali arrivati qui e ho tenuto i contatti con i miei genitori che vivono nella campagna tra Kiev e Odessa, nella zona centrale dell’Ucraina".
Oggi per il suo Paese non vede prospettiva: "Con Trump alla Casa Bianca è cambiato tutto, la situazione è peggiorata. Lui è amico di Putin e vuole spartirsi l’Ucraina con la Russia. E noi? Noi piangiamo migliaia di morti, i nostri soldati sono allo stremo, la popolazione resiste. Nessuno in Ucraina vuole mollare e non lo faranno. Spero in un ruolo forte dell’Europa per far ragionare Trump e Putin".
Alessia condivide lo stesso stato d’animo: "Da 3 anni ogni giorno vivo in modo uguale, ascolto le news dall’Ucraina. Fa molto male ciò che sta succedendo: sono morte tante persone, bambini, ci sono molti mutilati, distrutti psicologicamente. La gente non ha più niente; l’unica cosa che rimane è la nostra terra e pure quella adesso vogliono portarci via. Siamo un boccone appetibile sia per la Russia che per l’America".
Lei ha lasciato l’Ucraina mezzora prima delle bombe russe. Il piano era: "Accompagno mia madre ad Arezzo, la affido a una persona che l’assiste e torno a Kiev ad aiutare la resistenza delle persone che si oppongono al disegno di Putin: ‘denazionalizzare’ il paese, sbarazzarsi degli ucraini per poi far entrare i russi, come già fatto in Crimea". A Kiev non ha potuto più tornare ma "ho aiutato da qui la mia gente. Le donne ucraine combattono al fianco dei mariti e dicono: questa è la mia terra e questa è anche la mia guerra". Tre anni dopo è ancora così.