Santori
Ha destato curiosità la scelta del Comune di intitolare a Giovanni Pierluigi da Palestrina la lancia d’oro della Giostra del Saracino in palio il 7 settembre. Un compositore che non ha legami particolari con Arezzo se non, come si legge nella motivazione ufficiale, perché "le sue melodie sono frequentemente eseguite e particolarmente apprezzate nell’ambito del Concorso Polifonico Guido d’Arezzo".
Pierluigi nella seconda metà del XVI secolo è stato il massimo compositore di musica polifonica sacra e profana in Italia (e forse in Europa), e ad Arezzo la sua produzione era ben nota, come dimostra la presenza di numerose sue composizioni nel catalogo dei libri di musica a stampa presenti nell’archivio della cappella aretina (oggi scomparsi). Giovanni Pierluigi è una delle pietre miliari della storia della musica, nato a Palestrina nel 1525 e morto a Roma nel 1594. Gli aretini conoscevano dunque bene la fama della sua scuola e della sua opera non solo di compositore, ma anche di organista e di direttore delle musiche corali nella basilica vaticana, eppure non temevano di confrontarsi con lui.
C’è infatti nei diari della famiglia Catani (manoscritto 29, 3, 114 della Biblioteca della città di Arezzo) una nota decisamente curiosa, scovata da don Silvano Pieri: gli aretini che si recarono a Roma nel 1575 per il Giubileo indetto dal papa Gregorio XIII vollero includere nella spedizione un gruppo di cantori "per farsi onore", consapevoli com’erano dell’eccellenza artistica raggiunta dalla loro cappella con maestri come Paolo Aretino e Orazio Tigrini, forse perché gravitanti nell’area veneziana più che in quella romana.
Ora, per una coincidenza veramente singolare e profondamente simbolica, le lance d’oro delle edizioni 2025 della Giostra del Saracino saranno dedicate sabato 21 giugno al Giubileo della Speranza e domenica 7 settembre a Giovanni Pierluigi da Palestrina (Pierluigi non è un nome, come molti credono, ma il cognome). Il Giubileo 2025 è, come si sa, il venticinquesimo nella storia di questo fondamentale evento tanto caro alla religiosità popolare, indetto da papa Francesco con la bolla "Spes non confundit" (la speranza non delude) e intitolato pertanto alla Speranza, con lo scopo "che ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante".
Scopo che sarebbe stato indubbiamente condiviso dagli aretini che andarono a Roma nel 1575, ormai rassegnati al dominio fiorentino e decisi a riprendersi dalle umiliazioni inflitte da Cosimo I, lo "sventratore di Arezzo": la distruzione di decine di torri, del duomo vecchio sul Pionta e del teatro romano. Giovanni Pierluigi visse quasi sempre a Roma dove cominciò la sua carriera come fanciullo cantore della basilica di Santa Maria Maggiore per tornare a Palestrina appena diciannovenne, chiamato a suonare l’organo e ad insegnare il canto ai canonici e ai fanciulli da Giovanni Maria Ciocchi del Monte che era stato nominato appunto cardinale vescovo di Palestrina fin dal 1543.
Fu l’inizio della sua fortuna romana perché il del Monte divenne papa col nome di Giulio III e subito, avendone intuito il non comune talento, lo nominò "magister cappellae" della Cappella Giulia, posto di altissimo prestigio che lo consacrava, pur giovanissimo, “primo de’ maestri”! Deciso a vivere la sua vita a modo suo nel 1547, ventiduenne, prese in moglie tale Lucrezia Gori dalla quale ebbe tre figli: Rodolfo e Angelo, a lui premorti, e Iginio che sopravvisse invece al padre e morì nel 1610. Dedicatosi subito alla composizione dedicò un primo libri di messe al papa che lo immise d’autorità fra i cantori della cappella papale, senza chiedere il loro consenso preventivo.
Donde invidia e antipatie, tanto è vero che alla morte di Giulio III nel marzo del 1555, dopo i ventidue giorni di regno del successore, Marcello II, il nuovo papa, Paolo IV, con un motu proprio costrinse a dimettersi tutti cantori ammogliati , concedendo loro peraltro una modesta pensione: la mossa era comunque chiaramente mirata a colpire principalmente il Pierluigi il quale fu però quasi subito assunto come maestro della Cappella musicale Pia Lateranense per passare poi alla Basilica di Santa Maria Maggiore e, fino alla morte, di nuovo alla Cappella Giulia da dove era partito. La sua produzione sacra e profana è incredibile per quantità e qualità: 105 messe, 35 magnificat, 300 mottetti, 42 madrigali spirituali e 91 madrigali profani (alcuni peraltro di sospetta autenticità).
Uomo dotato anche di grande senso pratico, amministrò i suoi beni con oculatezza e alla morte della moglie si risposò con Virginia Dormoli, ricca pellicciaia romana che gli confermò un tenore di vita decisamente agiato per un musicista. Se non la più bella, certamente la più famosa, e a tutt’oggi la più eseguita delle sue messe, è quella intitolata a Papa Marcello che è rimasta legata ad una leggenda costruita dal biografo Baini, secondo la quale il compositore l’avrebbe scritta subito dopo la morte improvvisa del papa.
In realtà è stata scritta molti anni dopo, ma certamente ha avuto un’influenza sul Concilio di Trento a dimostrazione che la comprensibilità del testo non era inconciliabile con la polifonia. Pierluigi da Palestrina è l’unico compositore rinascimentale le cui composizioni sono state eseguite dopo la morte nei secoli successivi, diventando modelli accademici, studiate e ammirate dai massimi compositori, con in testa Bach e Beethoven. Giovanni Pierluigi da Palestrina è noto in tutto il mondo, dovunque ci siano amici della musica e una corale. E ad Arezzo? Era di casa nel secolo d’oro ed è di casa oggi per almeno una settimana ogni anno, grazie al Concorso Polifonico intitolato a Guido d’Arezzo, del quale è magna pars dal 1952.