FILIPPO
Cronaca

Pio Borri, il primo partigiano morì sulla neve. Dopo le raffiche l’agonia nella notte gelata

Il ventenne scortava un camion di viveri per i compagni, l’agguato, gli spari: restò ferito nel ghiaccio. La veglia solitaria della mamma

Il ventenne scortava un camion di viveri per i compagni, l’agguato, gli spari: restò ferito nel ghiaccio. La veglia solitaria della mamma

Il ventenne scortava un camion di viveri per i compagni, l’agguato, gli spari: restò ferito nel ghiaccio. La veglia solitaria della mamma

Boni

La neve cadeva copiosa nel buio sulla strada tortuosa che attraverso i boschi di Molin di Bucchio, in Casentino, arrivava da Arezzo, e ovattava le ruote del mezzo pieno di viveri e rifornimenti su cui viaggiava Pio, tra i sassi e i castagni. L’autocarro che lui scortava armato giungeva dalla città diretto verso le montagne per portare rifornimenti alle prime bande partigiane della zona, e arrancava nei punti in cui il ghiaccio, candido, si fondeva al fango. Era la notte dell’undici novembre 1943.

A un certo punto, dietro una quercia, affondando i piedi nella neve intrisa di terra, con le mani ghiacciate, inghiottito dall’oscurità, Pio scese, fece una trentina di metri a piedi illuminato dalla luce dei fari e poi tornò correndo, e batté tre volte la mano sullo sportello del conducente. "Spegni i fari! Spegni i fari! Sento dei rumori più avanti…rallenta!".

L’uomo alla guida spense i fari, e il bosco parve ingoiare tutto. Si spense anche il motore e nel buio più profondo, solo il rumore della neve, lieve, che batteva sulle foglie degli alberi, rimase per qualche istante sospeso, insieme al fremere dei loro respiri. Era troppo tardi. Dietro alla curva, un posto di blocco di nazisti li aspettava in agguato, con i mitra spianati. Erano mesi drammatici per l’Italia e anche per la provincia di Arezzo, dove già da settembre, dopo la firma dell’Armistizio di Cassibile, si erano iniziate a formare le prime bande partigiane contro l’invasore tedesco che aveva preso il controllo su tutta la penisola. Nei primi raggruppamenti partigiani che si erano formati in quel periodo di cui faceva parte anche Pio Borri, che quella notte scortava un autocarro pieno di cibo per i partigiani del Casentino, avevano preso parte giovani di Bibbiena, Soci, Partina, Serravalle, Ortignano e Ponina, le cui montagne e campagne si prestavano al nascondiglio, alla fuga e all’organizzazione della Resistenza. Erano in prevalenza lavoratori della terra, lavoratori generici, studenti, boscaioli, impiegati e commercianti e fino al marzo 1944 svolsero attività di carattere prevalentemente organizzativo, vivendo presso le proprie famiglie e riunendosi soprattutto per compiere azioni tese a procurare armi, materiali e viveri compiendo anche azioni di disturbo contro i nazifascisti.

Contestualmente, prestavano aiuto agli ex prigionieri di guerra alleati evasi dai campi di concentramento di Anghiari, Laterina, Figline e Poppi nonché ai militari del disciolto esercito, nascosti in montagna e in pianura presso persone fidate. Pio era nato a Grosseto l’8 maggio 1923. Studente di legge all’università, ad Arezzo era arrivato subito dopo l’estate per il servizio di leva.

Avrebbe dovuto entrare a far parte delle milizie fasciste ma, dopo l’armistizio di Cassibile, aveva deciso di abbandonare il reparto in cui era stato inviato e rifugiarsi in Casentino. Qui entrò a far parte della formazione partigiana Vallucciole. In pochi giorni, era riuscito a raggruppare militari sbandati e civili formando due gruppi di resistenti dopo una brillante operazione contro una caserma. Quella maledetta notte di neve, tra le curve di Molin di Bucchio, scortava un mezzo che portava cibo ai suoi compagni che si battevano per la resistenza, nel gelo, tra le montagne del Casentino.

Non ebbero molto tempo, i fari di un mezzo nazista nascosto dietro alla curva li accecarono e un gruppo di soldati urlando li attaccò, intimando la resa. Nacque uno scontro a fuoco, tra la neve e l’oscurità, il suo compagno fuggì ma Pio ebbe la peggio, colpito e ferito alle spalle, sopra una scapola. Lo arrestarono e sul posto venne seviziato e torturato, poi abbandonato nel fossato di fianco alla carreggiata, tra l’acqua gelida, il fango e la neve. Agonizzò per ore, morendo all’alba, chiamando la madre.

Fu ritrovato inerme e congelato solo alcuni giorno dopo il fatto, e trasportato nella chiesa della Misericordia dove fu vegliato solo dalla mamma, perché nessuno poteva avvicinarsi a causa della sorveglianza dei fascisti aretini. Fu il primo partigiano a morire in provincia di Arezzo durante la resistenza Pio Borri, e a lui venne poi intitolata la 23esima brigata Garibaldi, unità cruciale nell’organizzazione delle bande in provincia e nella quale militarono nei mesi successivi centinaia di partigiani che hanno fatto la storia.

Borri venne insignito con la medaglia d’argento al valor militare (alla memoria) con la seguente motivazione: "Organizzatore della prima formazione partigiani dell’aretino sempre volontario nelle azioni più rischiose, caduto in una imboscata, rispondeva prontamente con il fuoco della sua arma al nemico che gli intimava la resa. Colpito gravissimamente al petto, catturato e sottoposto ad atroci torture teneva contegno superbo e spavaldo rifiutando ogni delazione. Gettato per disprezzo nella neve, quindi esalava l’ultimo respiro, con sulle labbra il nome della madre e quello della Patria. Bellissima figura di patriota e di martire della libertà".

Domani, a Molin di Bucchio, è in programma la cerimonia dell’81° anniversario della sua morte. Perché c’è qualcosa di più alto e di più grande che la neve e l’oscurità non potranno mai seppellire: la memoria di un ragazzo di vent’anni che per combattere gli invasori morì ammazzato nel ghiaccio, nel buio di una notte, in un fosso tra i boschi di Stia. Da solo.