Maurizio
Schoepflin
Figlio dello speziale Guccio e di Iacoba Frutti, appartenente a una famiglia notarile, Poggio Bracciolini nacque a Terranuova l’11 febbraio del 1380. Come nel caso di molti altri giovani dotati di notevoli capacità (Poggio si rivelò ben presto uno straordinario copista e un ottimo lettore dei classici), il Nostro si trasferì a Firenze, ove meritò subito la stima dell’aretino Leonardo Bruni e di Coluccio Salutati. Sempre a motivo delle sue eccellenti qualità intellettuali, il Bracciolini venne invitato a Roma, dove ricoprì il ruolo di scrittore apostolico. I primi anni del XV secolo non furono certo facili per la Chiesa, che sperimentò gravi divisioni e addirittura la presenza di papi e antipapi. Poggio fu abile a non lasciarsi coinvolgere nelle trame e negli scontri, anche perché la sua vera passione era lo studio: saranno moltissime le ore da lui trascorse nelle più ricche biblioteche di tutta Europa, da Costanza a Montecassino, da Cluny a San Gallo.
E fu proprio tra le carte di quest’ultima abbazia che egli seppe far venire alla luce i codici di opere di straordinario valore, quali l’Institutio oratoria di Quintiliano, il celebre maestro romano di retorica del I secolo, le Selve del grande scrittore latino Stazio e il De rerum natura, il capolavoro di Lucrezio, autentico gioiello della latinità. Rientrato a Roma dall’Inghilterra, ove si era recato su invito del cardinale Enrico Beaufort, si affermò come uno dei più brillanti funzionari della Curia, rimanendo per trent’anni al servizio della Sede Apostolica in qualità di segretario papale.
Nel 1436 si sposò con la nobile fiorentina Selvaggia di Ghino Manente de’ Buondelmonti, donna bella e intelligente, che gli fu molto devota e gli dette ben sei figli. Quando l’elezione a pontefice di Niccolò V sembrò aprirgli nuovi promettenti orizzonti di carriera, in realtà la sua situazione divenne problematica e ad aggravarla concorsero pure le aspre polemiche che ebbe con Lorenzo Valla. Tutto ciò lo convinse a tornare a Firenze, ove gli venne offerta la carica di Cancelliere, che ricoprì all’incirca per un quinquennio, prima di ritirarsi nella villa Valdarnina, acquistata nel 1438 nel paese natale. La morte lo colse il 30 ottobre del 1459; venne sepolto con tutti gli onori nella chiesa fiorentina di Santa Croce.
Poggio è passato alla storia come uno straordinario ricercatore e scopritore di codici antichi, ma sarebbe errato ridurre il suo impegno ad un lavoro meramente tecnico: egli fu in realtà un uomo appassionato della cultura, da lui intesa come quel mondo in cui gli esseri umani possono incontrarsi senza limiti di spazio e di tempo e dialogare tra loro.
In una lettera da lui inviata al letterato e umanista fiorentino Niccolò Niccoli si legge: “La natura genitrice ha dato al genere umano, come guide al vivere buono e felice, l’intelletto e la ragione, di cui non si potrebbe pensare nulla di più nobile; eppure io non so se il dono più grande non sia l’uso della parola e la struttura del discorso, senza cui né la ragione né l’intelletto varrebbero niente. Solo il linguaggio, che ci serve ad esprimere la virtù dell’uomo, ci distingue dagli altri animali. Vivissima gratitudine è dovuta perciò agli inventori delle arti liberali, e in particolare a quelli che col loro studio solerte ci hanno ammaestrato nell’arte del dire e ci hanno fornito le regole del perfetto eloquio. Essi infatti hanno permesso che là dove gli uomini più decisamente si innalzano al di sopra degli altri animali, noi elevassimo noi stessi al di sopra degli altri uomini”. Il Bracciolini nutrì scarsa fiducia nella politica, convinto che soltanto il sapere e la cultura potessero assicurare l’innalzamento dello spirito e l’immortalità. Sebbene il Nostro non si presenti come un pensatore particolarmente profondo e rigoroso, non v’è dubbio che egli seppe esprimere tutti i maggiori temi cari agli umanisti: l’importanza della fortuna nelle vicende umane, la necessità di stare con i piedi per terra, rifuggendo ogni ipocrisia, il valore del lavoro contrapposto alla sterilità dell’ascesi, da lui giudicata comoda e improduttiva.
Di qui egli fece derivare un atteggiamento assai critico nei confronti delle istituzioni monastiche, sebbene, come ricorda Eugenio Garin, mai deviò dall’ortodossia cattolica. Assai illuminante è il seguente giudizio sintetico che di lui ha dato Daniela Parisi: “Poggio Bracciolini incarna appieno le caratteristiche intellettuali dell’umanista quattrocentesco. Fu inizialmente un ottimo copista, e questa abilità lo portò dalla sua terra aretina a Firenze, città pronta ad accogliere uomini provenienti da centri minori e anche ad attribuire loro alte cariche. Fu così che Bracciolini, entrato da giovane nella città come copista, vi ritornò come cancelliere negli ultimi anni della sua intensa vita. Nelle sue opere egli sostenne la positività del denaro e argomentò sulla sua fecondità: infatti, se accumulato con saggezza, il denaro procura onori e, proprio per questo, stimola a lavorare per ottenerne in maggior quantità; costituisce inoltre una riserva utile anche per la città”.