LUCIA
Cronaca

Quando i "Diavoli" incendiavano la caserma. La memoria di un’epoca oltre le macerie

Nata dallo scheletro di un convento, diventò il crocevia di migliaia di giovani. Orari, alzabandiera, guardie e perfino un delitto

Quando i "Diavoli" incendiavano la caserma. La memoria di un’epoca oltre le macerie

Nata dallo scheletro di un convento, diventò il crocevia di migliaia di giovani. Orari, alzabandiera, guardie e perfino un delitto

Bigozzi

I "Diavoli" della Cadorna rispondevano "Arezzo!" al comandante che urlava la parola nel piazzale dell’alzabandiera e dei giuramenti. Una formula che richiamava l’orgoglio dell’appartenenza alla divisa e alla storia della caserma Cadorna. "Diavoliiiiii!!!!!". E i militari all’unisono: "Arezzo!". In quelle sillabe il legame, profondo, con la città. Quasi una simbiosi che incrocia storie, avvenimenti, periodi difficili e risalite. Perchè la città è sempre stata un tutt’uno con la cittadella militare di via Petrarca, pieno centro. Di più negli anni del boom, gli Ottanta e i Novanta quando fu trasformata nel Centro di avviamento reclute. Il "famigerato" Car per molti ragazzi chiamati alla naja dalla legge che rendeva obbligatorio il servizio militare. E dalla Cadorna sono passati migliaia di giovani, ciascuno col suo bagaglio di entusiasmo e di progetti per il futuro. Adesso di quella caserma resta uno scheletro color giallo ocra, fatto di edifici che saranno ristrutturati secondo i piani del Comune per dar vita a una nuova area nel centro storico: una piazza, giardini, nuovi uffici, un parcheggio multipiano e, per la prima volta, un collegamento diretto tra via Garibaldi e Petrarca. Un progetto di riqualificazione che passa anche da un piano di demolizioni. La palazzina comando ora è un cumulo di macerie tra le quali, forse, è possibile rintracciare i simboli, magari qualche foto, di chi lì ha vissuto e lavorato. Erano altri tempi, eppure la memoria conta, ha un valore da custodire.

Storia antica quella della Cadorna, la "tana" dei Diavoli in omaggio all’omonimo Reggimento costituito durante la Grande Guerra. Ma le radici sono più profonde e affondano nell’Ottocento. La caserma come l’abbiamo sempre conosciuta, nasce intorno agli anni Venti-Trenta sulle ceneri del Conventaccio, un monastero in rovina che affacciava su via Porta Buia. La cittadella militare fiorisce come Scuola allievi ufficiali e forma una miriade di graduati, alcuni diventeranno famosi a livello nazionale come il giornalista, scritto e storico, Enzo Forcella.

Nuova mutazione alla fine della seconda guerra mondiale: ospita un Battaglione dell’84° di Siena fino alla costituzione del 225° Reggimento Brigata Friuli, nell’autunno 1976. Primo comandante fu Enzo Pecchi. Dopo il periodo di addestramento, i militari venivano destinati ad altri reparti e tra questi i Lupi di Toscana, il Senio e il 35° Gruppo Artiglieria a Pistoia. Appese alle pareti di quello che resta della Cadorna ci sono aneddoti, scorribande di "nonni" e matricole, le goliardate tra commilitoni, ma anche i momenti tragici. Come in quell’anno terribile, 1980, quando un "militare di guardia sulla garitta lato Porta Buia, voleva essere riformato e improvvisamente sparò a un commilitone che stava spazzando il piazzale della caserma". Un ricordo incancellabile per Angiolo Galletti che alla Cadorna ha dedicato diciotto anni di vita e di carriera militare. "Fu un giorno drammatico per tutti: il ragazzo ferito fu subito soccorso ma morì all’ospedale di Arezzo, mentre il militare che aveva sparato venne arrestato e successivamente condannato a una ventina di anni in primo grado, ricordo anche il particolare del processo".

Lui arriva alla Cadorna nel ‘76 come sottufficiale addetto al comando e nell’86 diventa ufficiale e aiutante maggiore; così fino al 1994 quando da Arezzo si trasferisce a Roma negli uffici dello Stato Maggiore. Successivamente a Firenze, come aiutante di campo al vicecomandante Gianfranco Ottogalli.

"Nel periodo più fiorente, tutto della città girava attorno alla caserma e noi ci sentivamo il centro della vita cittadina. C’era una collaborazione intensa per ogni necessità: si rivolgevano a noi anche quando c’era un incendio o in qualunque occasione ci fosse bisogno dell’intervento dei militari. E noi eravamo a disposizione della città", rievoca Galletti. Che il filo sia stato d’acciaio, si rintraccia pure nei ricordi di commercianti e albergatori coi capelli imbiancati dagli anni, che rammentano, non senza nostalgia, "le giornate dei giuramenti quando le famiglie dei militari prenotavano camere e ristoranti. E quando, ogni sera allo scoccare dell’uscita libera dalla caserma , i ragazzi frequentavano i locali del centro e facevano acquisti nei negozi". Se si considera che alla Cadorna arrivavano ogni mese ottocento ragazzi in un flusso costante, è facile valutare quanto la presenza della cittadella militare abbia pesato anche in termini economici nella crescita e nel benessere della città.

I "ragazzi" di Galletti: lui conserva la memoria di quegli anni e richiama l’emozione nel "vederli arrivare ancora inesperti e poi nel vederli ripartire uomini. Da ognuno di loro ho imparato arricchendo sul piano umano e delle relazioni la mia formazione molto militare". Ricorda pure le mamme dei giovani soldati "che venivano da me a raccomandarsi perchè trattassimo con cura i loro figli, rivelandoci i lati deboli o le sensibilità. Ho ancora in mente il volto di una donna che parlava del figlio come se parlasse di Dio".

Oggi, Galletti non vuol vedere le ruspe che sbriciolano la palazzina comando "ho passato lì una parte fondamentale della mia vita. Mi rendo conto che i tempi cambiano ma per me è una grande delusione, un’infinita amarezza. Spero venga salvato e valorizzato il monumento di Caduti che abbiamo custodito con grande cura. La memoria non merita un colpo di ruspa".