di Gloria Peruzzi
PIEVE SANTO STEFANO
"Ingannato, Malmenato, Impacchettato. Internato, Malnutrito, Infamato. Invano, Mangiare, Implorai. Italia, Mi, Ignorò", sono soltanto alcuni degli anagrammi con cui Giovannino Guareschi aveva trasformato la sigla IMI, tre parole che raccontano una pagina di storia tra le meno note della seconda guerra mondiale. IMI sta per Internati Militari Italiani. Sono stati centinaia di migliaia quelli portati nei lager nazisti. Tra questi anche il padre di "Peppone e Don Camillo" che ha raccontato i giorni della prigionia nel libro "Diario clandestino".
C’erano Alessandro Natta, futuro segretario del Pci,e Gianrico Tedeschi, decano del teatro. Pare abbia cominciato a dimostrare capacità di attore in quelle baracche a Wietzendorf in bassa Sassonia, nel campo di concentramento dove furono ammassati come pecore quarantamila italiani. Tra loro Ettore Piccinini, classe 1922 di Ancona, sottufficiale del Regio Esercito: racconta la terribile esperienza in "Quando saremo di nuovo uomini", diario che comincia a scrivere quando sarà trasferito, nel 1945, nel lager di Breloh.
Furono circa settecentomila gli ufficiali italiani rimasti invischiati nell’ultimo grosso pasticcio della fase finale della seconda guerra mondiale. Gli IMI furono deportati nei campi di lavoro del Reich subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando i nemici divennero alleati e gli amici si trovarono nemici. Un rovesciamento di alleanze che lasciarono l’esercito italiano senza ordini e direttive.
Ne approfittarono i tedeschi: rastrellarono quanti più soldati possibile, su tutti i fronti, li caricarono sui vagoni piombati e li portarono in Germania e in Polonia. "Noi l’avevamo un’Idea: credevamo di poter vivere per fare più grande e rispettato, più ricco e più ordinato il nostro Paese, più giusto il nostro ordinamento sociale. Molti di noi hanno sofferto, molti altri sono Caduti. Poi tutto è crollato e il fango ha seppellito tutto, ha coperto perfino il sangue. E noi siamo diventati numeri".
Quello di Ettore era il ‘156825’: "Ma, quando saremo di nuovo uomini, quale Idea ci condurrà? Perché un ideale dovremo pure averlo". Restarono due anni nei lager in condizioni al limite della sopravvivenza. Il freddo, la fame, l’angoscia, la mancanza di cure: "Nel complesso le cose non vanno troppo bene: Mario Balducci sta male e non vogliamo mandarlo all’Ospedale; la voglia di andarsene diventa tormentosa. Persino in tenda c’è cattivo umore, e io ne risento, vivo con difficoltà se l’ambiente che mi circonda non è sereno".
Annota le riflessioni alla vista di un reportage sulla rivista americana "Life" con le foto dei corpi di Mussolini, della Petacci, di Starace esposti alla vendetta popolare: "Io non approvo queste manifestazioni di odio sfrenato. Non basta sputare su un morto per scaricarci della responsabilità su quello che è successo". Con il passare dei giorni, il diario si riempie di notizie e aggiornamenti sull’avanzata degli Alleati in territorio germanico, la speranza imminente di tornare a casa, ma il rimpatrio tarda ad arrivare. Ettore concluderà il suo diario solo il 16 agosto 1945, dopo aver percorso più di 700 chilometri e aver superato le ultime insidie della sua vita da soldato, poco prima di varcare la soglia di casa e tornare ad essere "di nuovo uomo".