REDAZIONE AREZZO

Quei botoli ringhiosi poco amati da Dante

Stefano Pasquini sulle tracce nel suo ultimo libro degli aretini nella Divina Commedia, da Buonconte da Montefeltro a Guittone

La Divina Commedia è sicuramente uno dei libri più commentati della storia della letteratura mondiale. Nessuno però ha pensato fino ad oggi di approfondire i rapporti del poema dantesco con uno dei territori più legati alla vita del poeta, quello aretino. Mi sono chiesto se ci fossero dei motivi particolari che potessero giustificare questa grave lacuna oppure se la stessa fosse frutto di mera casualità.

La risposta probabilmente va ricercata proprio nel rapporto conflittuale fra Dante e la realtà aretina, conflittualità che traspare in modo evidente nella stessa Divina Commedia. Basti pensare ai famosi versi sui "botoli (…) ringhiosi", ai quali anche il fiume Arno "torce il muso", cioè si volta e se ne va. Questi versi così sprezzanti verso Arezzo e i suoi abitanti vanno certamente inquadrati nel suo vissuto di esule, che ne esacerbò l’animo. La sua esperienza aretina fu caratterizzata da eventi negativi: le grosse difficoltà economiche del soggiorno immediatamente successivo all’esilio, la catastrofica impresa della Lastra, il fallimento della discesa dell’imperatore Arrigo VII.

Nel poema dantesco fioccano i versi caustici verso Arezzo e i suoi abitanti: oltre i già ricordati "botoli (…) ringhiosi", la definizione degli abitanti del Casentino come "brutti porci", la descrizione negativa dei Conti Guidi nel canto di Maestro Adamo, i giudizi sprezzanti verso il più grande poeta aretino, Guittone d’Arezzo.

È probabile che tutta questa aggressività non abbia invogliato gli studiosi ad approfondire il tema della presenza di Arezzo e dei suoi abitanti nella Divina Commedia, quasi che ci si vergognasse di certificare, con un’opera critica, questo quadro così negativo. Studiando in profondità il poema, però, ci accorgiamo che è stato un errore farsi intimorire dalla vemenza e dalla causticità dei giudizi danteschi. Scavando dietro tale cortina, emergono importanti elementi di segno opposto. Anzitutto l’amore del poeta per la natura ed i paesaggi del Casentino, vista quasi come una valle dell’Eden. Maestro Adamo fa una meravigliosa descrizione delle verdi montagne casentinesi (canto XXX dell’Inferno) e Buonconte da Montefeltro ci offre un grandioso affresco dell’intera vallata immersa nella nebbia e nella tempesta (canto V del Purgatorio). Emerge poi la considerazione di alte figure intellettuali, come Griffolino e lo stesso Maestro Adamo, che, pur collocati all’Inferno, possono narrarci la loro storia di ingiustizia e rancore.

Superato quindi il pregiudizio negativo, possiamo scoprire un mondo pieno di personaggi e storie di grande interesse: le lotte fra i guelfi esiliati nel 1287 ed i ghibellini al potere in città, i terribili crimini commessi dagli abusi delle autorità cittadine in Toscana, la fiorente vita culturale aretina, le meraviglie della natura delle vallate circostanti la città.In questo quadro un rilievo particolare meritano la battaglia di Campaldino e la poetica di Guittone d’Arezzo.

La battaglia di Campaldino fu un evento di notevole rilevanza politica e militare e rappresentò anche un’esperienza diretta di fondamentale importanza nella vita di Dante. Ecco perché ci è parso necessario procedere ad una ricostruzione dettagliata. La battaglia fu combattuta dagli aretini con il metodo tradizionale dell’assalto di cavalleria, mentre i fiorentini vinsero grazie ad una nuova tattica, basata sull’attesa e su un inedito utilizzo di armi particolari, come i palvesi e la balestra. La vittoria dei fiorentini segnò la fine di ogni prospettiva del ghibellinismo in Toscana e più in generale nel nostro paese. Dal punto di vista poetico viene in rilievo la duplice storia di Guido e Buonconte da Montefeltro, protagonisti di un percorso individuale e morale inverso, che serve al poeta per esaltare le virtù del cavaliere ghibellino, che si era trovato di fronte nel combattimento.

Al di là dei giudizi negativi espressi da Dante, Guittone d’Arezzo appare poi come una figura fondamentale nella storia della poesia italiana del Duecento, ponendosi come un intellettuale di collegamento fra le scuole provenzale e siciliana e le nuove tendenze toscane, che culminarono poi nello stilnovismo. Un’analisi approfondita dell’opera di Guittone, mettendo in risalto il brusco cambiamento avvenuto nella sua vita e nella sua poetica nel 1265, porta alla luce la complessità della sua opera e le basi filosofiche e culturali. Questo mi ha permesso anche di ricostruire la profonda riflessione, che attraversa la Commedia, sulla poesia e in particolare sulla poesia d’amore. Un filo rosso che percorre tutto il poema, partendo da Paolo e Francesca nell’inferno fino alla figura di Folchetto da Marsiglia in paradiso. Un filo rosso dentro il quale possiamo apprezzare in pieno il ruolo di Guittone, all’interno della più generale teoria dell’amore, che costituisce l’architrave dell’intero poema.