
di Claudio Santori
Provo a buttar giù un ricordo di Vittorio Vettori, l’indimenticato presidente dell’Accademia Casentinese si cui è stato celebrato pochi giorni fa il centenario della nascita. Non lo faccio certo per illustrarne la sterminata dottrina, segnatamente dantesca, e la curiositas verso qualsiasi cosa che recasse il sigillo dello spirito: è incombenza che lascio volentieri a penne ben più fini e robuste della mia. Avendo avuto tuttavia il privilegio di frequentarlo non solo in pubbliche tornate, ma anche in numerosi colloqui privati, mi limiterò a rammentare alcuni aspetti della sua personalità, decisamente esuberante e tale da non passare in nessun modo inosservata.
Mi fu presentato da una persona che è stata per me - allorquando ero insegnante alle prime armi - un mentore e una guida culturale e spirituale: il professor Silvio Gennai, uno dei grandi che orbitavano allora nel sodalizio di Borgo alla Collina. Vittorio mi accolse subito con affabilità e il discorso, dopo i primi convenevoli di rito, cadde inevitabilmente su Dante, sulla poesia e filosofia del Novecento e su uno dei suoi cavalli di battaglia: Mircea Eliade, il celebre antropologo e filosofo del quale egli era amico personale e dal quale io ero a quel tempo affascinato per i suoi studi sulla fenomenologia delle religioni e sul mito dell’eterno ritorno.
Andando avanti la conversazione, non tardai ad accorgermi che Vittorio, assolutamente senza parere, con consumata abilità e squisito tatto in realtà … mi stava esaminando! La sensazione di essere sotto esame si venne attenuando quando il discorso virò sulla musica: parlando del sacro in Verdi e Beethoven mi resi conto che finalmente mi stava ascoltando con un certo interesse!
Dovetti comunque superare …l’esame perché volle che ci dessimo del tu e mi invitò a collaborare con l’Accademia. Fu così che scalai per la prima volta la Cattedra del Landino con una conversazione su Cherubini, intitolata, mi pare, “L’ombra di Medea”: particolarmente interessato alla mitologia greca, Vittorio non aveva avuto il tempo di occuparsi -mi disse- delle vicende melodrammatiche di quei personaggi!
Il salmo poi finì in gloria in un ristorante, dove la conversazione virò sulla gastronomia: Vittorio era una buona forchetta, grande intenditore di cucina in generale e di tradizioni culinarie fiorentine e casentinesi in particolare.
La conversazione di Vittorio era brillante. Accennavo in apertura di questa noticina alla sua sterminata erudizione: ebbene, sapeva dissimularla con nonchalanche e sapeva mettere tutti i suoi interlocutori a loro agio. Mi ha fatto l’onore di introdurmi come personaggio nel romanzo che ha dedicato all’amico avvocato Piero Graverini: “Sulla via dell’arcangelo”.
Amava la vita in tutti i suoi aspetti, determinato com’era nel perseguire i suoi scopi e nel realizzare i suoi desideri. Un uomo di quelli che lasciano il segno, anche perché non giudicava e non si curava di essere giudicato; un uomo che nel pieno della sua maturità fisica e intellettuale sapeva stare al mondo con assoluta libertà di pensiero, incurante di giudizi e pregiudizi. Ribadisco che averlo conosciuto e frequentato è stato un privilegio.