FILIPPO
Cronaca

Quella primavera di sangue. In viaggio tra le tappe di una barbarie infinita. È la vergogna del 1944

I primi morti a marzo in Valtiberina, poi avanti con l’orrore fino all’autunno. Sotto quel velo di polvere tante comunità e famiglie cancellate per sempre.

Quella primavera di sangue. In viaggio tra le tappe di una barbarie infinita. È la vergogna del 1944

I primi morti a marzo in Valtiberina, poi avanti con l’orrore fino all’autunno. Sotto quel velo di polvere tante comunità e famiglie cancellate per sempre.

Boni

Il percorso è già segnato, la scia è ancora lì, basta soffiare sulla polvere. Il sangue degli ultimi trafitti e bruciati sembra solo scomparso, ma in verità giace sotto alle pietre e alla terra. Nessuno riuscirà mai a cancellarlo, né con l’oblio, né con il tempo che scorre inesorabilmente. La terra della provincia di Arezzo, con tremila vittime civili tra stragi nazifasciste e bombardamenti nel 1944, è una delle più colpite d’Italia, e non può non esser coinvolta quando si parla di un cammino della pace e della memoria tra Monte Sole e Sant’Anna di Stazzema. Un progetto molto importante che mira a creare un percorso escursionistico di 180 km che colleghi due luoghi simbolo della storia italiana, promosso dall’Associazione Liberation Route Italia con il supporto delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna, attraversando 14 comuni e 11 tappe, unendo memoria storica, turismo lento e valorizzazione del territorio. Un progetto però che probabilmente dovrebbe accogliere al suo interno tutte le province toscane ed emiliane maggiormente coinvolte dai massacri che su territorio italiano videro cadere venticinquemila vittime innocenti e solo in Toscana ed Emilia, le regioni più colpite, circa diecimila. Arezzo in questa scia di sangue che corre lungo lo stivale vanta un triste primato e né il capoluogo nè le sue vallate sono purtroppo escluse. Il dramma ebbe inizio nella primavera del 1944, quando la linea del fronte cominciò ad avvicinarsi alla provincia di Arezzo e le bande e i gruppi partigiani presenti nelle vallate aretine si consolidarono con grosse formazioni ben organizzate e con un elevato livello di combattività.

Divenne così effettivo il progetto di un nesso tra le varie forze di tutto il territorio in vista di un attacco sempre più aperto e diretto contro il nemico occupante. Ma ugualmente energica era la pressione da parte dei nazifascisti che mettevano in pratica la strategia stabilita da Hitler e da Kesselring della "ritirata aggressiva", che implicava l’assunzione di metodi bestiali, feroci, ben oltre le regole di una guerra già di per sé dura e spietata.

Rastrellamenti, crimini di varia natura, massacri si susseguirono con grande intensità, tendenti a colpire il morale delle popolazioni che davano il loro sostegno alle forze partigiane e la reazione dei nazifascisti alle azioni dei partigiani, in connessione con l’imminente arroccamento sulla Linea Gotica, fu spietata. Dopo l’eccidio in Valtiberina del 27 marzo a Villa Santinelli con 9 partigiani fucilati, il mese di aprile iniziò immerso nel sangue con le stragi consumate contro le popolazioni civili in Casentino, comprese donne e bambini, a Vallucciole (108 morti), a Partina e a Moscaio di Banzena (in totale 37 morti).

Sempre in Casentino il 14-15 giugno fu la volta di Chiusi della Verna dove furono uccise 10 persone, quindi saccheggiate e devastate le case. Il 20 toccò a Montemignaio, dove vennero uccisi 11 uomini; il 26 e 27 giugno a Falzano, a Cortona in Valdichiana, con 15 vittime; il 29 ancora in Casentino a Montemignaio, in località Carbonettoli, dove nazisti e repubblichini catturarono, seviziarono e massacrarono 5 persone. Lo stesso giorno, a Castel San Niccolò, in località Cetica, vennero fucilati 13 civili, mentre una decina di partigiani moriva in combattimento. Sempre il 29 giugno, giorno nefasto per la Valdichiana e il Valdarno, la Hermann Goring colpì a morte Civitella della Chiana, Cornia e San Pancrazio di Bucine, abbattendo con mitragliatrici, fucili e bombe 244 civili inermi e innocenti, in uno dei massacri più terribili della storia della resistenza italiana, citato anche dal Presidente della Repubblica Federale di Germania domenica scorsa nel suo discorso ufficiale a Marzabotto. Quattro giorni dopo in Valdarno, il 4 luglio, gli stessi uomini di Civitella, operarono nel comune di Cavriglia e organizzarono la quarta strage nazifascista più terribile mai messa in atto su territorio italiano in quel tempo, con 192 vittime innocenti sterminate in quattro paesi: Meleto Valdarno, Massa Sabbioni, San Martino, Castelnuovo dei Sabbioni e Le Matole (quest’ultima l’11 luglio).

Il 6 luglio, la scia di sangue raggiunse il comune di Loro Ciuffenna a Mulinaccio e Orenaccio, presso la frazione di San Giustino, dove in totale furono uccisi 47 uomini. Il 14 luglio, a ridosso della liberazione di Arezzo, ecco che i nazisti colpirono San Polo, per un altro eccidio che passò purtroppo alla storia: 63 persone falciate in pochi minuti. Nei due mesi successivi la tragica sequela proseguì con l’uccisione, tra luglio e agosto, di numerosi civili a Poppi, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Sestino e Montemignaio. Questa terra venne definitivamente liberata dagli alleati con l’aiuto dei partigiani solo a settembre. Restava alle spalle dei soldati sudafricani, inglesi, americani, canadesi, neozelandesi, francesi o brasiliani un popolo segnato da drammi, atrocità, rovine e macerie. Una scia di sangue incancellabile. È ancora là, sotto alla terra e alla polvere dell’oblio. Perché non coinvolgerla in un cammino della memoria su scala interregionale? In fondo, basta soffiare.