Arezzo,7 maggio 2020 - I respiratori erano farlocchi o quantomeno privi della certificazione europea che garantisce della loro conformità agli standard di qualità. Mica poco per quei macchinari che nelle settimane più dure della lotta contro il virus sono diventati uno dei simboli della resistenza sanitaria nelle terapie intensive intasati di pazienti che non riuscivano più a respirare, coi polmoni devastati dalle polmoniti anomale.
Fa un po’ impressione, dunque, che i respiratori importati dalla Cina e destinati agli ospedali della Regione Lazio per tramite di una grande (e nota) azienda aretina siano finiti sotto sequestro invece che nelle rianimazioni di Roma e province limitrofe. Blitz della Finanza, inchiesta del Pm Roberto Rossi.
Ma vediamo la storia. Che comincia appunto con una mega-commessa affidata dalla Regione guidata dal segretario del Pd Nicola Zingaretti all’impresa aretina: ben 320 respiratori destinati alla sanità laziale, affare multimilionario (il prezzo di questi macchinari varia ma non sotto i 15 mila euro) e soprattutto una boccata d’ossigeno per ospedali che si stanno attrezzando per l’ondata di piena del virus che poi nel centrosud non arriverà, non almeno nelle proporzioni che si potevano temere.
E qui attrezzarsi significa anche arricchire le terapie intensive che hanno bisogno di un respiratore per ogni letto. Bene, l’azienda made in Arezzo che vince l’appalto si organizza con i suoi canali di importazione dalla Cina, primaria esportatrice di questi macchinari e perchè ne è una grande produttrice e perchè è stata la prima, a Wuhan, a subire l’ondata d’urto del contagio.
Arrivano dunque i primi impianti da rianimazione per i malati intubati, appena quattro ma sono l’anticipo della maxi-fornitura sopra ricordata. Senonchè un funzionario della Regione Lazio si mette in allarme: non gli torna la conformità della certificazione alle regole dell’Unione Europea, il famoso marchio Ce. Le sue perplessità finiscono alla Guardia di Finanza, che con il nucleo di polizia economico-finanziaria comincia a indagare.
Qualcosa effettivamente non va, il fascicolo arriva sul tavolo del Pm Rossi che firma un decreto di perquisizione dell’azienda aretina con contestuale sequestro dei macchinari che dovessero esservi stoccati. Dell’impresa La Nazione tace il nome perchè secondo fonti giudiziarie è in buona fede, non protagonista e complice di una truffa ma vittima della confusione normative che si è creata in queste settimane di lotta contro il virus.
Fonti inquirenti sottolineano tuttavia che dovrebbe essere cura dell’importatore verificare la conformità della certificazione. Può finire dunque con un’archiviazione ma anche con una richiesta di rinvio a giudizio per violazione dell’articolo 515 del codice, quello sulla frode in commercio.
Questo però è già il futuro. Il presente è che la commessa si ferma lì, ai primi quattro respiratori, con gli altri che per quanto risulta non sono mai arrivati negli ospedali del Lazio, ma sono rimasti fermi in Cina, privi della certificazione richiesta.
Se siano davvero farlocchi, se cioè non siano in grado di rispondere alle necessità di una terapia intensiva, di aiutare a respirare i malati gravi che non riescono più a farlo e se sia invece solo una questione di forma, di marchio, andrà visto con un’indagine più complessa. Fatto sta che i macchinari restano ancora sotto sequestro, pur se il blitz della Finanza risale a qualche giorno fa, prima della fine del lockdown.
Un grande caos, come per le mascherine, una giungla di norme, di importatori, di commesse pubbliche nelle quali è difficile orientarsi. E’ un altro degli effetti dell’epoca del virus