REDAZIONE AREZZO

Retata anti-Piovra: ombra Ndrangheta, clan padrone dei rifiuti, conferiti anche da Tca

Indagato l’ex presidente, il colosso dell’oro: chiusi i rapporti con l’impianto, lui non più amministratore. Gli Andreacchio del Far-west a Meleto. Rapporti col consorzio di bonifica

Il procuratore Creazzo

Il procuratore Creazzo

Arezzo, 16 aprile 2021 - Altro che ombra dela Ndrangheta. Qui siamo alla Piovra che affonda saldamente i suoi tentacoli in mezza provincia di Arezzo, in particolare il Valdarno, sfiorando imprenditori eccellenti e aziende altrettanto famose, di primaria importanza nel paesaggio economico aretino e toscano, riconettendosi persino a episodi eclatanti del passato, come la sparatoria da Far-west di Meleto Valdarno del 2009, suggerendosi lo scenario di un clan, quello dei Grande Aracri di Cutro, nel crotonese, che si infiltra pesantemente negli affari leciti e illeciti, in particolare nella gestione di rifiuti e discariche.

E’ lo sfondo desolante che emerge dalla clamorosa inchiesta della Dda di Firenze, che con quattro distinte ordinanze di custodia cautelare ha coinvolto il capo di gabinetto dell’ex governatore Enrico Rossi e ora di Giani, Ledo Gori, un sindaco della zona del cuoio, un consigliere regionale di Pisa.

Indagini che portano in carcere o ai domiciliari Francesco e Manuel Le Rose, padre e figlio, entrambi domiciliati a Pergine, titolari dell’impianto di smaltimento rifiuti omonimo di Levane (Bucine), vicini appunto al clan Grande Aracri e telecomandati dal parente Gaetano Le Rose.

Va ai domiciliari anche Anna Maria Faragò, moglie e madre dei due, mentre in altri versanti ifiniscono in carcere Nicola Chiefari, anche lui residente a Bucine, esponente del clan Gallace di Guardavalle (Catanzaro), accusato di estorsione nei confronti di una ditta di lavori stradali, e Raffaele Andreacchio, 24 anni ma già figura di spessore, cui viene contestata come agli altri l’associazione mafiosa, più lo spaccio di droga e il favoreggiamento di un latitante. Il cognome è lo stesso di Nicola Andreacchio, ucciso nella sparatoria di Meleto del 2009, col quale è imparentato.

Come il suocero della vittima di allora Agazio e altri esponenti della famiglia Andreacchio-Samà, che al tempo guidò la spedizione punitiva finita nel sangue, ora tutti destinatari di misure cautelari. E non solo. Il comunicato stampa dei Ros parla anche di «legami di comodo con la Pubblica Amministrazione aretina (Consorzio Bonifica Valdarno) per l’assegnazione diretta di lavori per importi contenuti (sotto soglia), su cui sono in corso approfondimenti investigativi».

Il quadro è quello della gestione degli scarti della lavorazione del cuoio che venivano classificati falsamente come rifiuti non pericolosi e lavorati negli impianti dei Le Rose, a Levane e Pontedera. Un’inchiesta che si innesta su quella dei carabinieri forestali della procura di Arezzo, che a sua volta ha originato un fascicolo del Pm Laura Taddei per smaltimento di rifiuti tossici.

Lì è indagato anche Claudio Guadagnoli, ex presidente della Tca (che ovviamente non c’entra niente con la ndrangheta), che insieme ad altri giganti dell’oro avrebbe conferito all’impianto di Levane i propri scarti, certificando «falsamente» che non erano tossici. La Tca precisa che i rapporti coi Le Rose (ma «per rifiuti non pericolosi») sono stata interrotti quando si è saputo delle indagini, Guadagnoli non è più amministratore.

Dalla discarica di Levane usciva un materiale ancora pericoloso che veniva miscelato con il brecciolino e rivenduto alle aziende dell’edilizia. In alternativa, il conglomerato tossico (c’era anche arsenico) veniva stoccato sulla collina sopra l’impianto, finto progetto di ripristino ambientale della zona. Metodi tipici dell’economia infiltrata dalle mafie, che vanno a inserirsi in un contesto altrettanto inquinato.

Nel 2017 un’altra inchiesta sull’ampliamento della discarica di Podere Rota e la copertura di quella dismessa del Pero a Castiglion Fibocchi, andò a coinvolgere ditte legate ai Grande Aracri e ai Ciampà, famiglia di Cutro legata alla prima e rivale dei Le Rose. E’ dei giorni scorsi l’allarme per l’ipotizzata origine mafiosa del doppio incendio alla Valentino Shoes e alla Lem, poco lontano dall’impianto dei Le Rose. Lì, forse, la ndrangheta non c’entra, ma lo scenario complessivo fa paura lo stesso.