"Tutto il dolore del mondo è qui. Ma è un dolore che non si lascia sopraffare dalla violenza". È racchiuso nelle storie e nelle vite dei ragazzi che a Rondine imparano a costruire la pace, provando a ribaltare l’orrore delle guerre come "soluzione" e a farlo con "l’arma", potentissima a ben guardare, della parola, del confronto, del mettersi nei panni dell’altro prima della contrapposizione che alza i muri. Comprendere e insieme cercare la soluzione.
"Tutto il dolore del mondo è concentrato in questo borgo", dice Franco Vaccari che Rondine l’ha fondata e la cura giorno per giorno, alimentando con il dialogo quei "semi" che qui crescono, si formano, studiano, scoprono il valore della condivisione e dell’umanità anche quando la guerra divide le loro terre, le famiglie, gli amici e ipoteca il futuro. Come accade ora tra israeliani e palestinesi, come continua a essere tra ucraini e russi, come tra armeni e azerbaigiani sul Nagorno Karabakh: sono i dolori del mondo che a Rondine diventano percorso per immaginare i futuri leader in uno schema opposto a quello che in queste ore semina sangue e spezza vite.
A Rondine, le notizie dell’orrore nella striscia di Gaza arrivano prima che sui social o sulle "all news" delle tv del mondo. Corrono nei messaggi e sulle foto che raccontano ciò che accade. Sono sei i ragazzi che vivono il dramma di Israele e della Palestina e nella cittadella della pace si impegnano a costruire ponti. "Li ho incontrati stamani (ieri, ndr) e per tre ore ci sono state lacrime, abbracci, sostegno, incoraggiamento. Il loro dolore è il nostro. Questi sono i momenti in cui Rondine capisce la sua ragione profonda, l’essenza del suo mandato. Attraverso i ragazzi che studiano qui, stiamo accogliendo i dolori degli ucraini e dei russi, di armeni e azerbaigiani e degli armeni. Ora c’è il dolore dei ragazzi israeliani, palestinesi e libanesi. Un vertice di dolore e di angoscia racchiuso in questo borgo, ma senza lasciarsi sopraffare", scandisce Vaccari.
Perchè una delle chiavi di Rondine è l’approfondimento, la riflessione, l’elaborazione di un metodo che renda il dialogo non solo possibile e fortificato dal confronto costante, ma che sia anche nutrimento per costruire nuovi orizzonti che proprio Rondine affida ai ragazzi che accoglie e forma. Orizzonti di pace.
"La domanda che ricorre in queste ore è: che senso ha stare qui mentre il mio popolo soffre, riceve violenza o si scambia violenza. È la domanda radicale di questi ragazzi". La risposta che la Cittadella della Pace offre è come un percorso a tappe nel quale ci si tempra e si metabolizza il dolore trasformandolo in opportunità di incontro, non più di scontro.
"In questi momenti li aiutiamo a capire che un concetto fondamentale: o i leader del futuro ragioneranno in un altro modo per governare il mondo, oppure le tragedie di oggi si riproporranno. I ragazzi lo capiscono perfettamente ma vivono, lacerante, il dolore di ciò che accade col pensiero alle famiglie e agli amici".
Le notizie che a Rondine arrivano prima dei tg dicono che "le loro famiglie stanno bene, ma comincia la conta degli amici morti". Una cintura di protezione intorno è il "metodo" Rondine, anche se l’accoglienza e il sostegno hanno un confine ben definito: "Li lasciamo sempre liberi di decidere. Potrebbero scegliere di tornare a casa, ma hanno scelto di restare qui perchè in questo momento è l’unico luogo dove accettano di stare insieme e di non lasciarsi risucchiare dalla tragedia della guerra".