LUCIA BIGOZZI
Cronaca

"Rondine? Luogo fantastico e unico". Segre lancia la Cittadella a Roma. Il borgo brilla nel film sulla sua vita

La senatrice, protagonista al festival del cinema, valorizza il "cantiere" dove si costruisce la pace. Vaccari tra i testimonial del documentario, i volti e i racconti dei ragazzi, la storia di un metodo.

"Rondine? Luogo fantastico e unico". Segre lancia la Cittadella a Roma. Il borgo brilla nel film sulla sua vita

Liliana Segre durante la conferenza stampa di presentazione del film sulla sua vita alla Festa del Cinema di Roma

"Io non scappo più". No, Liliana Segre non scappa davanti alle minacce irripetibili arrivatele negli ultimi mesi. E lo scandisce nell’ultima frase del docufilm presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma. Non scappa ma anzi corre ogni volta di più verso la cittadelka della pace. "Siamo di Rondine" e gli occhi di "implacabile lucidità" (la definizione è dell’Ansa e lei apprezza molto) si illuminano di scatto. La mano stesa, togliendola per un attimo alle autorità e ai vip che la circondano.

"Quando l’ho scoperta pensavo non fosse vera" esclama nel film. Il presidente Franco Vaccari è tra i testimonial scelti dal regista Ruggero Gabbai per raccontare la storia di chi è in campo per costruire la pace e superare i conflitti. Lo zoom sul borgo, i volti dei ragazzi, un incontro nella ex chiesina, le parole di Franco. E Rondine si delinea ancora una volta come lo spiraglio che resiste al pessimismo della senatrice a vita. "È vero, un po’ lo sono: ma continuo a mandare una gamba davanti all’altra come nella marcia della morte". Momenti che ad Arezzo ha raccontato tante volte, fino all’ultima testimonianza pubblica dell’ottobre 2020, davanti allora più di ieri alle massime cariche dello Stato. E perfino nel film il ricordo di Janine, l’amica francese mandata al gas si incrocia con Rondine. "Le hanno dedicato un’arena" e quindi nel suo vocabolario anche quella visibilità negata nel tempo ai tanti morti di Auschwitz.

Nel racconto le testimonianze dei figli, a cominciare da Alberto Belli Paci diventato un compagno di strada fisso di Rondine, si intreccia a tanti volti noti: Enrico Mentana, Fabio Fazio, Mario Monti e tanti altri. Su un filo che parte dell’orrore del lager e arriva all’orrore dell’indifferenza. "Quando sono rientrata nella mia casa si sono aperte le finestre del palazzo: la mia no, non si sarebbe aperta più". In alcuni passaggi perfino un accenno di singhiozzo, mai emerso in nessun incontro pubblico. "Per me resta solo una nonna" sussurra uno dei nipoti.

Di quella generazione alla quale Liliana Segre ha affidato la sua testimonianza. Così come ha deciso di fare con i ragazzi di Rondine. "Ma presto saremo solo una riga della storia: cento anni fa ci fu il genocidio degli armeni, chi lo ha ricordato?".

No, non tutti hanno la sua memoria. Quella che all’inizio della giornata romana mette davanti a tutto.

"In un’immagine del film ho le braccia aperte e il sorriso, felice al mare. Pochi giorni dopo ci fu il 7 ottobre: no, quella donna felice ora non c’è più". In fondo Liliana Segre teme solo il silenzio, quello che circondava il lager la notte, quello dell’indifferenza, quello che ha spezzato quarantacinque anni dopo l’orrore.

Lo teme ma non scappa, non scappa più. E con il braccio appoggiato ad una delle sue guardie del corpo lascia la sala, ancora inseguita dagli applausi.