Arezzo, 3 marzo 2019 - Il 20 febbraio del 2018, un anno fa, finisce un’odissea ma ne comincia subito un’altra. Che è un bel peso per una famiglia immigrata a Monterchi dalla Romania ma ormai ben integrata nel paese: il padre, imprenditore calzaturiero, la madre che è appunto al centro di questa storia macabra come un romanzo gotico, e altri due figli già grandi, uno già over 20 e l’altra adolescente. Fatto sta che i genitori, provati da una vicenda al limite dell’incredibile si rivolgono subito a un avvocato, al quale da qualche giorno è subentrato un altro legale, Tiberio Baroni, che sta rimettendo insieme le tessere di un puzzle nero.
Il primo atto, subito dopo la scoperta che c’era stato uno scambio nella cella frigorifera della morgue di Città di Castello fra il feto della signora Elena, quarantenne, e la gamba amputata al signor F.S., poi deceduto nel giro di pochi giorni, lo fa la Usl 1 dell’Umbria, con una serie di accertamenti anatomo-patologici sull’identità del corpicino.
Lo compiono il 23 febbraio 2018 due medici specialisti, i quali giungono alla conclusione che si tratta dello stesso feto sottoposto a riscontro diagnostico il 22 novembre 2016, sei giorni dopo l’aborto spontaneo col quale era venuto alla luce già morto Luca G., del quale l’ufficio di stato civile del Comune di Città di Castello aveva redatto al tempo stesso il certificato di nascita e di morte in data 1 dicembre 2016.
A dare la certezza ai due anatomo-patologi che si tratti dello stesso corpicino sono le caratteristiche morfologiche, «sovrapponibili a quelle osservate nel precedente riscontro diagnostico (quello del 22 novembre 2016 i cui risultati peraltro erano arrivato alla famiglia solo a settembre 2017 Ndr)». Anche il materiale fotografico disponibile dei due esami dà conferma che si tratti del medesimo feto». Sul quale peraltro i due medici riscontrano uno stato di mummificazione e decomposizione in fase già avanzata.
La domanda diventa dunque: è compatibile un tale livello di conservazione della salma con una sepoltura che l’avrebbe lasciata fuori dalla cella frigorifera dell’ospedale di Città di Castello per soli nove giorni, fra il 10 febbraio 2018 in cui viene prelevata dall’obitorio a cura degli addetti al funerale di F.S. e il successivo 19 febbraio in cui il corpicino viene ritrovato nella bara in cui è stato sepolto l’uomo della gamba amputata che è l’altra vittima, insieme ai suoi cari, di questa vicenda al limite dell’horror, perchè anche a lui è stata negata la pace della tomba e anche i suoi parenti hanno dovuto subire l’oltraggio di vedere i suoi resti mescolati con quelli di un altro? E’ un altro degli aspetti da chiarire.
Così come resta da capire come sia stato possibile lo scambio macabro che turba adesso due famiglie: solo un errore di un addetto alle pompe funebri distratto oppure c’è qualcosa d’altro che non ha funzionato? C’è un altro pezzo di questa storia che ancora resta tutto da scrivere.