SCUOLA MEDIA CONVITTO NAZIONALE "VITTORIO EMANUELE II" AREZZO

Il mare paga il prezzo più alto dell’abbigliamento a basso costo. Vino, arance e latte ci potranno salvare

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Per chiunque sentire che i capi di vestiario, gli accessori, le scarpe inquinano è uno shock. Molti studi sostengono che l’industria della moda sia la seconda più inquinante al mondo e la prima per consumo di energia e risorse naturali. Causa il 10% delle emissioni di CO2 e spreca il 20% delle risorse idriche. L’acqua ancora una volta la vittima.

Le si infieriscono colpi mortali fin dalla produzione tessile. Per coltivare il cotone si utilizzano pesticidi, mentre per la tintura e la produzione di tessuti sintetici si utilizzano composti chimici, poi dispersi nell’acqua. Il colpo finale lo assesta il lavaggio degli indumenti sintetici, da cui proviene il 35% delle microplastiche presenti nei mari.

Tutto ciò è legato al diffondersi della "fast fashion", la moda usa e getta: vestiario a basso costo, che dura poco (un certo numero di lavaggi prestabiliti). Basso prezzo ma a volte materiali scadenti, sistemi di lavorazione inquinanti, produzione in zone in cui non ci siano regole ambientali restrittive e sfruttamento della manodopera.

Ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di capi di abbigliamento, il 400% in più rispetto a 20 anni fa. In media compriamo circa 20kg di vestiti l’anno.

70 milioni di tonnellate di abiti usati vengono buttate, ma il 48% di essi sarebbe ancora utilizzabile. Negli ultimi anni sono aumentate le iniziative per ridurre l’impatto sull’ambiente. La Svezia ha proposto un’ecotassa di 3euro ogni kg di abbigliamento inquinante. In Francia nel 2022 entrerà in vigore la legge anti-spreco, che vieta alle case di distruggere capi invenduti. Vari brand di catene low cost promuovono campagne di riciclo, sconti per abiti usati.

Diverse marche di scarpe da ginnastica hanno linee in plastica riciclata. La materia prima è raccolta grazie al progetto Upcycling the Oceans: una collaborazione tra i governi degli stati con i mari più suggestivi al mondo, la popolazione e gruppi di subacquei. Anche l’alta moda è sensibile, lanciando le capsule collection: il riciclo creativo di abiti e accessori. Si cercano fibre tessili alternative. L’italiana Orange Fiber produce tessuti dagli scarti degli agrumi; Bolt Thread seta artificiale da una miscela di zucchero, acqua e lievito; la tedesca Qmilk dalle proteine del latte; l’australiana Nanollose dal vino, dalla birra, da foglie e scarti di noco di cocco.

Nel nostro piccolo cosa possiamo fare?

• ridurre gli acquisti in catene low-cost

• lavare i vestiti solo quando necessario, utilizzando sacchetti che raccolgono microplastiche

• rammendare i vestiti, anziché buttarli

• scegliere tessuti ecosostenibili

• Acquistare abiti usati

• Donare gli abiti dismessi.