
Alessandro Sacchi durante il processo per il delitto della moglie. In alto i difensori: Stefano Sacchi e Piero Melani Graverini
"Tornassi indietro chiederei aiuto: non farlo è stato il mio errore più grande". Alessandro Sacchi di sicuro non conosce Giuseppina Martin, la donna che pochi giorni fa ha stretto il foulard intorno al collo della mamma e l’ha strangolata. Non la conosce, lui che in autunno aveva fatto quasi lo stesso alla moglie, in quel caso sparandogli alla testa. Ma da perfetti sconosciuti arrivano alla stessa conclusione. Sacchi questo rimpianto se lo porterà dietro tutta la vita e di sicuro sarà lo stesso per Giuseppina. Al centro quelli che nel gergo popolare vengono chiamati "delitti per pietà": in realtà la pietà raramente si serve di pistole o di foulard ma è un modo per capirsi. Sacchi, già condannato a dieci anni, non cerca scuse e risponde solo a poche domande. Aveva visto spegnersi la luce e la memoria in Serenella, la donna della sua vita.
Sacchi, prevale il dolore di chi vede un continuo peggioramento della persona con la quale si è condiviso tutto o il senso di impotenza di chi vorrebbe venirle incontro coime sempre ma non riesce a farlo? "Il dolore, il dolore prevale su tutto. Vedere una donna intelligente spegnersi giorno dopo giorno è stato devastante".
Cosa impedisce di alzare il telefono, chiedere aiuto, farsi affiancare da chi magari sarebbe più in grado di intervenire? La vergogna o la voglia di essere come sempre il punto di riferimento unico dell’altro? "Per me c’era solo la speranza che la malattia fosse arrivata all’apice e che io potessi esserle accanto sempre".
Si riesce a trovare un appoggio, un appoggio qualsiasi, nei vicini o negli amici, o ci si sente completamente soli? "Io sapevo di avere parenti e amici che ci volevano bene, ma non sono stato in grado di comprendere la mia situazione di disperazione di quei mesi ed ho pensato erroneamente di poter continuare a gestire da solo la malattia di Serenella".
C’è un momento nel quale gli sforzi infiniti e a vuoto lasciano lo spazio alla disperazione o addirittura al senso di colpa di chi proprio non riesce ad aiutare l’altra come vorrebbe? "Certamente, momenti del genere c’erano, poi però il nostro rapporto, che era molto stretto, mi faceva superare tutto".
Tornando indietro proverebbe a chiedere aiuto e farsi in qualche modo sostenere nella risposta alla malattia? "Certamente, ancora oggi sono sicuro che quel terribile evento sarebbe potuto non accadere se avessi chiesto aiuto. È stato il mio più grande errore".
Sacchi lo spiega deciso ma con un filo di voce: è lì il nodo della ferita. È lì il punto sul quale anche Giuseppina ha insistito nella sua confessione sfogo per il dramma di San Giovanni: prima davanti al sostituto procuratore e poi ieri in carcere davanti al Gip, al momento della convalida dell’arresto. Il momento al quale forse entrambi vorrebbero tornare ma che è in realtà il punto di non ritorno della loro storia.
Sacchi, nella sua esperienza come cambia il rapporto con una persona cara, lungamente amata, trasformata dalla malattia? "Non cambia, nel mio rapporto con Serenella, nulla cambiava".
Suona da una parte come l’angoscia di chi non riesce a scalfire la malattia, un nemico più grosso di lei ma anche di lui. E tuttavia suona anche come l’ennesima dichiarazione di un legame che sembra quasi non essere stato spezzato da quello sparo. Come se fosse stato un brutto sogno. O un istante al quale poter tornare indietro per riscrivere la storia della sua vita.