REDAZIONE AREZZO

Segre a Rondine si racconta, "Decisi di essere la donna di pace che sono"

Oggi la sua ultima testimonianza. Conte: "Sono venuto qui non a parlare ma ad ascoltare. Do la garanzia mia e del governo che questa testimonianza non sarà perduta"

Liliana Segre a Rondine

Arezzo, 9 ottobre 2020 - "Rondine, diversi anni fa, mi aveva già preso come un incantamento di quello che io avrei voluto realizzare nella vita. Un esempio". Così ha iniziato il suo discorso la Segre a Rondine. Già presente il premier Conte e le altre autorità attese alla Cittadella della Pace.

"La mia piccola vita interrotta mi fece diventare l'altra. L'ebrea. Ricordo quel giorno, ero a tavola e mi dissero che non sarei più potuta andare a scuola. Perchè? Perchè ero stata espulsa. Siamo ebrei e non possiamo più fare tante cose. Mi spiegarono. Erano le leggi razziali. Tra le cose più brutte che fecero fu quello di rendere i bambini invisibili".  

"Cominciò una escalation di paura nella mia famiglia. Via vai di poliziotti e di familiari che partivano. Noi si restò perchè in fondo in Italia non srebbe successo niente".

"Dopo l'8 settembre la gente cominciò a scappare. Noi non eravamo pronti. Ma alla nostra porta bussò un amico, si propose di aiutarmi, di nascondermi. Solo dopo capì che avevano rischiato la loro vita".  

"Quando sono entrata in Senato dissi: io sono stata una richiedente asilo, so cosa vuol dire essere respinta".  

Segre e suo padre riuscirono a fuggire in Svizzera, ma furono rimandati indietro. "Fummo arrestati. Mi ricordo come camminammo da progionieri. Con noi i francobolli di babbo, li buttò nel fango, pensava che non ci fosse più speranza".

La piccola Segre entrò in carcere. "Perchè? Non c'era una risposta". 

Da un carcere all'altro finì a San Vittore, dove trascorse 40 giorni con il padre. "In quei giorni ero io sua madre".

DEPORTAZIONE "Poi arrivò la comunicazione che dovevamo partire per ignota destinazione".  

"Si attraversò una Milano deserta. Fummo caricati sui vagoni a calci e pugni anche dai nostri vicini di casa, persone senza pietà. C'era paglia a terra e un secchio. Quel vagone era terribile, non c'era luce non c'era acqua. Solo la vicinanza con quelli che amavi. Per una settimana vidi passare l'Italia, poi il confine, poi l'Austria tra un pianto continuo, preghiere e il silenzio". 

L'ADDIO E L'INGRESSO NEL CAMPO DELLA MORTE "Feci dei piccoli saluti a mio padre. Erano gli ultimi, ma non lo sapevo. Poi iniziai a cammibare dietro ad una trentina di donne. Camminando entrai nel campo di concentramento di Birkenau Auschwitz. Entrando pensai di essere impazzita. Era un inferno. Comimciammo a capire che avremmo dovuto dimenticare il nostro nome, diventammo un numero. Il mio si vede tatuato ancora perfettamente. Poi spogliate, rasate sotto le risate dei nazisti. Ci tolsero tutto. La nostra vita non c'era più". 

"Io non capivo. Che posto era. Cosa c'era là in fondo, cosa era quell' edificio con la ciminiera da cui usciva il fumo?. Ce lo spiegarono delle ragazze francesi, che in un primo momento pensammo fossero pazze. Per una mente normale non era possibile credere che fossimo capitate in un posto del genere"

LA FABBRICA "Fortunatamente ero diventata un'operaia. Mi permetteva di scandire la giornata. Vedevamo gli uomini, cominciai a chiedere dove era mio papà. Poi smisi".

"La sera si tornava indietro e vedevamo la fiamma o il fumo dalla ciminiera. La notte dormivamo, non volevamo sentire i rumori del lager, i pianti, le urla di chi andava a l gas. Giorno dopo giorno diventavamo più egoiste. Non mi voltavo più a guardare i gruppi di cadaveri pronti ad essere bruciati" .

"Dovevamo scegliere la vita, per questo non guardare, non ascoltare. Aggrapparci alle piccole cose della vita: una nuvola, un ricordo".

"Ero diventata orribile. Non accettavo più i distacchi. Non mi voltai quando un'amica francese con cui lavoravo ogni giorno in fabbrica venne mandata al gas. Il giorno dopo iniziai a lavorare con un'altra operaia che prese il suo posto. Era il gennaio 1945, cominciavamo a sentire il rumore degli aerei".   

"NON HO PERDONATO Come non ho dimenticato". 

LA MARCIA DELLA MORTE "Camminammo per mesi, per centinaia di chilometri perchè stavano arrivando i russi".

"TRovammo un cavallo morto, cominciammo a mangiarlo crudo. Eravamo orribili, eravamo morte dentro, ma volevamo vivere. In questa marcia abbiamo trovato cavalli morti, ma mai uomini. Mai nessuno ha aperto una finestra. Non sentivamo più niente, ma in un piccolo campo vedemmo la primavera, l'erba e gli alberi. La natura aveva fatto il suo corso. Passavano di lì dei prigionieri francesi ed erano diventati contadini ci dissero poverine. Fino a quel momento avevamo solo ricevuto parole orribili".  

"Ci dissero che la guerra stava per finire e i tedeschi la stavano perdendo. Non morite ora, resistete". 

"Decisi di non farmi vendetta, non presi la pistola per uccidere. In quel momento sono diventata la donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad ora". Così chiude commossa, il suo discorso la Segre, tra gli applausi scroscianti.

 

Conte: "Sono venuto qui non a parlare ma ad ascoltare. Do' la garanzia mia e del governo che questa testimonianza non sarà perduta e sarà portata avanti. Porto i saluti della presidente del senato Casellati e della Camera Fico".

  A seguire il video del presidente del parlamento europeo David Sassoli.

L’hanno accolta con un mazzo di fiori fuori dell’albergo: gli studenti di Rondine le sono venuti incontro, quasi ad anticipare la staffetta che oggi avverrà sulla collina della pace. La staffetta tra Liliana Segre, la «ragazzina» sopravvissuta ad Auschwitz e da allora memoria storica dei lager, e chi è destinato a raccoglierne il testimone. «Grazie» ha sussurrato con un sorriso stanco ma felice. E poi è salita in camera a riposare.

E da lì, dal pieno centro del Continentale, oggi risalirà la Setteponti per raggiungere Rondine. Chissà se incrociando le auto blu che in contemporanea da Roma rovesceranno i big della politica nel paese sull’Arno. Un paese abbandonato tanti anni fa, l’ultimo era stato il parroco a rassegnarsi a seguire la sua gente. E con il tempo diventato il luogo emblematico non tanto della pace quanto della convivenza tra nemici.

Gli studenti dei paesi in conflitto. Gli ultimi dei quali erano lì, in piazza Guido Monaco, dietro quel mazzo di fiori porto a chi li ha scelti come eredi. Un passaggio alla presenza dei «notai» più prestigiosi del Paese. Il premier Giuseppe Conte, per la seconda volta nel giro di due anni a Rondine. tanti dei suoi ministri, da Luigi Di Maio a Luciana Lamorgese a Gaetano Manfredi alla titolare dell’Istruzione Lucia Azzolina, che vorrebbe tutti gli studenti d’Italia incollati a seguire per un’ora la diretta dell’evento. Una diretta che andrà su Rai 3, commentata da Ferruccio De Bortoli.

E insieme anche in streaming. «Ci saranno milioni di studenti a seguirci» dice per una volta frastornato Franco Vaccari, il presidente della Cittadella. Questo evento lo aveva immaginato allo stadio ma con il rimpianto di non poterlo fare a Rondine: e a Rondine ritorna, sia pur dalla porta di dietro del Covid. Accendendo per un giorno tutti i riflettori su quella creatura costruita ne primi anni con i campi di lavoro di tanti liceali e poi salita fino all’Onu.

E al Quirinale, da cui oggi arriveranno a Liliana Segre il dono e il saluto di Mattarella. Ci saranno invece la seconda e la terza carica dello Stato, la presidente del Senato Casellati e il presidente della Camera Fico. In un parterre affollato anche di ambasciatori e anche variegato sul piano religioso. In prima fila il presidente della Cei Gualtiero Bassetti, amico di Liliana e amico di Rondine.

Poi i vertici delle grandi famiglie religiose, le comunità ebraiche e islamiche. Il guardiano della Verna, il generale di Camaldoli. E perfino da Bose Luciano Manicardi, il priore di una comunità che resiste alla bufera che l’ha coinvolta nei mesi scorsi, per l’allontanamento del fondatore Enzo Bianchi. Tutti in un grande spazio coperto, da cui Liliana, oggi anche senatrice a vita. lancerà la sua ultima testimonianza.

Riavvolgendo il filo di un racconto che parte dalla fuga in Svizzera, continua nella cella di San Vittore mano nella mano col babbo, confluisce nel treno della morte e nei mesi del lager. «Rondine è il futuro che vorrei vivere»: in poche parole racchiude il significato di una scelta, per lei naturale, per la cittadella quasi vertiginosa. E che da qui riparte: più strutture, più scuole, più studenti del mondo e del 4° anno liceale.

Un intervento di un’ora, preceduto e seguito dai saluti istituzionali. Ma quell’ora, nello stile di sempre, sarà di quelle da seguire col fiato sospeso, trascinati oltre la propria volontà nel cuore della più grande piaga del Novecento. E su Rondine convergerà Arezzo, con il sindaco, con il Vescovo Fontana, con i parlamentari e i consiglieri regionali.

Autorità disposte come le altre a riconoscerne una perfino più grande di loro. Quella della memoria disarmata. Quella di una «vecchia signora» capace di guardare in faccia l’orrore