Arezzo, 10 ottobre 2017 - L’ha portata a morire su una stradina di campagna che si perde in un bosco di querce, cento metri oltre il monumento che ricorda dieci partigiani e civili fucilati dai tedeschi in ritirata nel giugno 1944. Poco oltre Palazzo del Pero, lungo la vecchia statale 73, ormai sostituita dalla superstrada dei Due Mari. Giancarlo Palazzi, 67 anni, operaio comunale in pensione, ha fulminato la madre Dina Sorini, di 85, con un colpo di pistola. Poi, sempre nell’abitacolo della sua Dacia Sandero bianca, ha rivolto l’arma contro di sè e si è ucciso.
Una tragedia della malattia, un omicidio-suicidio del dolore e della disperazione. Era malato, Palazzi, gravemente. E malata era anche la mamma: di Alzheimer. Come ha lasciato scritto nella lettera ritrovata in macchina, accanto ai due corpi, temeva che se succedeva qualcosa a lui nessuno avrebbe potuto prendersi cura della donna, cui era legatissimo.
Meglio farla finita subito, deve aver pensato in una domenica cupa di incubi sul futuro, di dubbi sulla vita che attendevano lui e chi lo aveva messo al mondo. Alle quattro del pomeriggio ha caricato la signora Dina sul piccolo Suv ed è sparito. L’allarme è scattato molto più tardi, alle dieci-undici di sera, quando la compagna di Giancarlo non ce l’ha fatta più a tenersi dentro l’angoscia dei due che non erano rientrati.
Per qualche ora, fra l’alba e la prima mattinata, sono scattate le ricerche, condotte dai vigili del fuoco e dalle forze dell’ordine. Poi qualcuno ha notato la Dacia seminascosta dalle fronde di quercia nel boschetto di Palazzo del Pero, una decina di chilometri dalla casa di via Giulio Salvadori, al confine fra il capoluogo e la campagna, in cui mamma e figlio vivevano con la badante di lei e la compagna di lui.
Difficile dire se Palazzi conoscesse già il luogo in cui è andato a consumare il suo tragico gesto o se l’abbia scelto vagando a caso, nella disperazione di chi cerca solo un posto per trovare un pò di pace dopo tanto tormento. Lui, dicono gli amici e gli ex compagni di lavoro, era un uomo introverso, segnato dalle asperità di un’esistenza che lo aveva già visto protagonista involontario di altre tragedie.
Lascia una figlia ormai grande, sulla quarantina. La mamma era un’antica commerciante, con un negozio di pollame nel popoloso quartiere di Saione. Finchè la salute l’aveva assistita, raccontano i vicini, aveva avuto una vita attiva, le piaceva uscire, le piaceva andare a ballare. Ma da anni era quasi chiusa in casa, consumata dall’avanzare dell’Alzheimer.
Gli spari, secondo una prima ricostruzione della Mobile che conduce le indagini, dovrebbero risalire più o meno alle 18 di domenica. Giancarlo Palazzi, che aveva in auto anche un fucile da caccia, si era portato dietro la sua pistola, per la quale aveva regolare permesso. L’ha puntata alla bocca della madre e ha fatto fuoco.
Chissà se lei, nelle condizioni in cui era, si è accorta di qualcosa. Poi il secondo colpo, sempre alla bocca, per se stesso. La lettera, che contiene anche una specie di piccolo testamento, è rimasta lì, a testimoniare che non c’era alcun retroscena equivoco dietro i due cadaveri nel bosco. Solo un’altra storia di male oscuro che sfocia in delitto della pietà disperata.
Salvatore Mannino