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Spacca i videopoker, assolto: "Capacità di intendere ridotta dalla febbre del gioco"

La sentenza innovativa sul caso di un giovane di Montevarchi. Sul caso pesa anche il rimborso di tutti i danni ma dalle motivazioni spunta la valutazione a sorpresa

Un giocatore di videopoker

Arezzo, 17 gennaio 2018 - Aveva danneggiato due videogiochi dopo aver bruciato alle macchinette mangia soldi una somma considerevole di denaro. Al culmine della rabbia un quarantacinquenne valdarnese si era armato di uno sgabello accanendosi su due slot, mandando in frantumi il display di entrambe. E si era beccato una denuncia per danneggiamento aggravato ed era finito in un’aula di giustizia. Alla fine è stato assolto:  anche perchè è riconosciuto il ruolo decisivo della sua ludopatia.

I fatti risalgono al febbraio 2015. Scenario la sala «Jackpot Saloon» di Montevarchi. Il protagonista è un giocatore incallito che, dopo essersi accanito sui dispositivi, se l’era data a gambe ed era stato individuato dai carabinieri passando al setaccio i filmati delle telecamere di videosorveglianza. Processato in Tribunale ad Arezzo, l’habitué del videopoker, assistito dagli avvocati Lucia Pasqui e Gabriele Brandi di Firenze, ha ottenuto l’assoluzione per la tenuità del fatto e per aver risarcito i guai provocati.

Ma dalle motivazioni emerge un particolare che potrebbe fare scuola. Il giudice Lucia Faltoni ha tenuto conto anche di un altro fattore: «L’imputato, all’epoca dei fatti – scrive – era affetto da una grave forma di dipendenza dal gioco, attualmente curata con successo, che ne diminuiva fortemente la capacità di intendere e di volere, pur senza escluderla».

Il magistrato aveva disposto una perizia psichiatrica e il medico incaricato si era espresso per la conferma della patologia. «Oltre alla soddisfazione per l’assoluzione del nostro assistito – commental’avvocato Brandi – il verdetto ci sembra innovativo in tema di incapacità di intendere e di volere legata a questa malattia in un contesto di gioco. Anche nel sistema giudiziario italiano ci stiamo avvicinando a riconoscere  questa dipendenza come un vero disturbo psichiatrico».