Arezzo, 8 giugno 2018 - Metterci la faccia, il nome e il cognome è l’inizio di un percorso di rinascita. La rivincita di chi, dopo tre anni tormentati, è stato prosciolto da ogni accusa dopo essersi sempre dichiarato innocente. Non ha ancora vent’anni, Alessandro Valentino, oggi fa il parrucchiere in Valdarno ma nel giugno di tre anni fa si è visto piombare in casa all’alba sette carabinieri che, dopo la perquisizione, lo hanno portato via.
Destinazione una comunità di recupero per minori a Perugia. «Non dimenticherò mai il dolore che mi hanno provocato le lacrime di mia madre e soprattutto quelle di mio padre, davvero poco abituato a commuoversi», racconta oggi. Il suo incubo è finito da qualche mese: accusato di stalking nei confronti di una coetanea, insieme ad altri dieci giovani, è stato completamente scagionato da ogni accusa e adesso, tramite l’avvocato Gabriele Brandi, chiede anche un risarcimento danni per l’ingiusta detenzione.
Secondo il giudice Massimiliano Signorini del tribunale dei minori di Firenze la ragazza si era inventata tutto (anche una violenza sessuale da cui la vicenda si origina) probabilmente per attirare l’attenzione di un ex fidanzatino che non ne voleva sapere più di lei. Coinvolgendo anche parenti e amici in una vendetta «tecnologica»: una ragazzata che è ben presto diventata un’odissea giudiziaria.
Gli undici giovani, tra cui Alessandro Valentino, erano accusati di aver tempestato di messaggi sui social network e su WhatsApp la ragazza dopo che lei aveva denunciato il presunto stupro subìto dall’ex fidanzatino, a turno con un amico più grande, nei pressi di una stazione ferroviaria del Valdarno. Minacce se avesse parlato, intimidazioni e offese andate avanti permesi, da cellulare a cellulare.
Sembrava una storia dolorosa: il «branco» che si accanisce su una ragazzina che si è ribellata ai suoi aguzzini. Ma la verità giudiziaria è un’altra: prima l’assoluzione dei due giovani per la violenza sessuale, subito dopo l’incredibile colpo di scena nel processo che riguardava l’accusa di stalking tramite i messaggi. Il tribunale dei minori ha accertato che la ragazza aveva utilizzato un’app per telefoni mobili che si chiama «Yazzy» e che falsifica le schermate dello smartphone. Le migliaia di messaggi minatori sulle chat di Facebook e compagnia bella erano tutte inventate di sana pianta. Da qui l’assoluzione per tutti.
Alessandro Valentino, però, mentre la giustizia si prendeva il suo tempo per appurare la verità si è fatto tre mesi in comunità e un mese di «permanenza in casa» (il termine utilizzato per gli arresti domiciliari dei minorenni). «In più c’è il fatto – spiega Valentino – che tutti sapevano cosa mi era successo e non è facile sostenere lo sguardo di chi ti considera colpevole solo perché una mattina tre gazzelle dei carabinieri si sono presentate sotto casa.
Lo stalking è un reato serio che va punito perché ci sono molte persone, in particolare donne, che subiscono persecuzioni intollerabili. La mia non è sete di rivalsa nei confronti della ragazza, vorrei solo che la mia storia servisse per evitare che le indagini si facciano con troppa superficialità e che con leggerezza si possa rinchiudere in comunità un ragazzo di appena sedici anni per accuse completamente inventate». Nemmeno l’eventuale risarcimento per l’ingiusta detenzione potrà cancellare le cicatrici nell’anima di una storia così.