
Militari della guardia di finanza (foto di repertorio)
Arezzo, 21 febbraio 2020 - Chiuso per un mese. È il bar di Montevarchi dove qualche giorno fa gli uomini della guardia di finanza della compagnia di San Giovanni hanno sequestrato 350 grammi di cocaina. La sospensione temporanea della licenza per la somministrazione di alimenti e bevande per motivi di ordine pubblico e sicurezza dei cittadini è stata disposta dal questore di Arezzo Fabio Salvatore Cilona che ha emesso il provvedimento amministrativo notificato al gestore all’inizio di questa settimana dagli agenti del commissariato di polizia montevarchino.
La misura prevede che l’esercizio debba tenere abbassata la serranda per 30 giorni sulla base dell’articolo 100 del Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza. È la naturale conseguenza dell’operazione delle Fiamme Gialle valdarnesi che il 12 febbraio scorso avevano rinvenuto nel vano dei contatori dell’energia elettrica del bar il consistente quantitativo di «neve», uno dei più cospicui sequestrati nella vallata da diversi mesi a questa parte.
La scoperta era avvenuta nell’ambito di un servizio di controllo a vasto raggio della zona compresa tra la stazione ferroviaria e piazza Vittorio Veneto, un’area sotto la lente di ingrandimento delle forze dell’ordine e considerata da sempre «sensibile» perché spesso teatro di episodi di microcriminalità, comprese le risse notturne scoppiate per ragioni banali, e per lo spaccio di stupefacenti.
Fenomeni che peraltro negli ultimi tempi, grazie a un giro di vite nei controlli e una presenza costante di pattuglie di Arma, polizia, Finanza e municipale, sembrano essersi ridotti con il risultato di implementare la percezione tra i residenti di vivere in un angolo di città più sicuro.
Come si ricorderà i finanzieri sangiovannesi, coordinati dal capitano Ubaldo Collu, a seguito di un’attività investigativa avevano subodorato l’imminente arrivo sulla piazza montevarchina di una partita ingente di coca e proprio per questo era scattato il blitz al quale aveva partecipato anche un’unità cinofila specializzata nella ricerca di sostanze allucinogene.
Era stato per l’appunto il fiuto del cane a indirizzare il personale in divisa verso il locale che, al momento delle verifiche, non era aperto. Una volta all’interno, seguendo il «fido» collaboratore, i militari si erano concentrati immediatamente sull’alloggiamento dei contatori, in effetti trasformato in nascondiglio della cocaina.
Un panetto che, adeguatamente tagliato, secondo le prime stime degli inquirenti, avrebbe permesso di confezionare un migliaio di dosi procurando un guadagno di oltre 70 mila euro. Il barista era stato subito fermato, associato al carcere aretino di San Benedetto e, trascorsa una notte in cella, processato per direttissima al Tribunale di Arezzo. Il giudice Stefano Cascone, dopo aver convalidato l’arresto, però non aveva ritenuto di applicare la misura della custodia cautelare in carcere richiesta dal pubblico ministero Elisabetta Sbragi, recependo le controdeduzioni del legale della difesa, l’avvocato Maria Fiorella Bennati.
Così l’esercente, che aveva rigettato ogni addebito e sostenuto che lo stupefacente non era suo e di non sapere chi l’avesse nascosto nel contatore, era stato rimesso in libertà con obbligo di firma, ovvero la presentazione quotidiana negli uffici della polizia giudiziaria in attesa del processo in programma il prossimo 16 marzo.