Si nascosero per mesi nei boschi della Verna: ebraici ma salendo ogni domenica al Santuario per fingere di essere cattolici praticanti. Lui medico, ricambiò i paesani curandoli come un dottore di famiglia. Ma consapevole di dovere la vita a chi non aveva avuto paura di perderla. Il pediatra Umberto Franchetti, la moglie Anny Pontremoli, le tre figlie Lina di 22 anni, Celestina di 16 e Luisa di 15. Salvi grazie a chi non si era voltato dall’altra parte. Storie di piccolo eroismo, la mano tesa di chi ha impedito di dare nuove vittime ai campi di sterminio, Auschwitz in testa. Oggi è il giorno della memoria e grazie a loro è anche una memoria che si vena di generosità. Nel caso dei Franchetti grazie a Francesco ed Emilia Ciuccoli, contadini, vivevano a Giampereta, da loro i Franchetti trovarono un nido dal settembre del 1943 all’anno dopo. Francesco ed Emilia hanno ricevuto il titolo di Giusti delle Nazioni, il resto del paese no, ma nessuno denunciò, nessuno virò verso il tradimento o la semplice indifferenza. Storie delle quali quei mesi sono ricchi: almeno 18 le figure uscite da quel tunnel a testa non alta, ma altissima. Come Bista e Stella Nepi, alla loro casa di campagna vicino Montevarchi bussò un ragazzo ebraico, Enzo Tayar. Aveva paura, la coppia lo accolse in casa, come fosse un altro figlio. Esattamente come avrebbe fatto poco dopo per Jim Foxall, un militare inglese. "Dove si mangia in quattro si mangia anche in cinque" era la massima delle campagne, condita in questo caso del coraggio di rischiare la propria incolumità. Un filo rosso, il filo del cuore, ricuce volti diversi e spesso lontani.
Tra loro c’è un’altra coppia, Annina e Giocondo Marconi. Stavano ad Anghiari e nei mesi del terrore ospitarono la famiglia Saghi: Josep e la sorella Adina sopravvissero grazie a loro, i discendenti con le lacrime agli occhi anni fa tornarono ad Anghiari, a dire quel grazie a Giampiero e Annamaria, i pronipoti di Annina e Giocondo. I bambini di allora frequentavano l’Aliotti. E una scuola a Subbiano è dedicata ad altri due sposi coraggiosi: Ostilio e Fernanda Righi. Misero la figlioletta della famiglia ebraica in fuga a letto con le loro bambine. "Sono le nostre figlie, hanno la difterite" dissero al soldato tedesco, che ci cascò, forse anche per paura del contagio. Don Amelio Vannelli, l’arciprete di Terranuova, offrì fino alla fine della guerra protezione a una mamma, Silvana, e alle figlie Miriam e Mirella. Arrivando ad accompagnarle in un bosco per cercare un rifugio durante le perquisizioni in paese. Valentino D’Acampora si prodigò per aiutare alcuni ebrei nelle campagne aretine, anche lui ha avuto il meritato riconoscimento dal Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah.
Ida Brunelli, sposata Lenti, passò da bambinaia ad angelo della famiglia ungherese Toth: rifugiati a Castiglion Fiorentino, lei raccolse l’appello dei genitori morti precocemente e ne salvò i figli, trattandoli come fossero suoi. Esattamente come Gonippo e Nova Massi, un’altra famiglia coraggiosa: vivevano a Monterchi, salvarono una famiglia croata, i Lukac, otto persopne in tutto, arrivarono ad Anghiari in treno per essere internati a Renicci, bruciarono sul tempo tutti, prendendoli alla Stazione e nascondendoli. Don Duilio Mengozzi era parroco a San Giovanni Battista al Trebbio, nascose la madre di una famiglia ebraica fingendo che fosse la sua, che in realtà era morta quando lui aveva solo due anni. Una seconda mamma, una seconda vita strappate con le unghie e con il cuore.