CLAUDIO
Cronaca

Sulpicia, la poetessa latina che non ci amava. Trascinata ad Arezzo aveva il moroso a Roma

"Come si fa a stare in quella terra, il fiume ti agghiaccia l’anima". I suoi avevano proprietà qui, lei esultava se un viaggio saltava

Sulpicia, la poetessa latina che non ci amava. Trascinata ad Arezzo aveva il moroso a Roma

Pittura raffigurante una fanciulla che si può associare al profilo di Sulpicia Sotto: l’immagine di una poetessa

Santori

Ci sono almeno due buone ragioni per ricordare Sulpicia, una ragazza vissuta nella Roma del I secolo a.C.

Una, perché si tratta dell’unica poetessa dell’intera letteratura latina, e l’altra - per noi più intrigante - perché è la più antica figura femminile in qualche modo legata alla nostra città. In qualche modo, perché la detestava e non ci voleva assolutamente venire: "Come si fa - scrive - a costringere una ragazza a stare in una villa sperduta in quel d’Arezzo, con quel fiume che ti agghiaccia l’anima?".

I Sulpici avevano delle terre nell’aretino: ogni tanto facevano una visita di controllo e si portavano dietro la ragazza riluttante anche perché aveva a Roma il ragazzo e non le andava di separarsene! Nel componimento successivo commenta con gioia il fatto che il viaggio è stato annullato e con esso la deprecata prospettiva del soggiorno aretino, nel suo immaginario tra i selvaggi!

I sei brevi componimenti a noi pervenuti di Sulpicia non son che pagine di una sorta di Diario Segreto "Hello Kitty" del primo secolo a.C., dove una ragazza - molto a suo modo romantica, oggi si farebbe chiamare Sulpy o Picia - ha vergato ardenti parole d’amore per un uomo chiamato Cerinto con l’enfasi e i colori tipici della teenager di sempre, venendo così inconsapevolmente ad essere l’unica poetessa nell’intera letteratura latina pagana. Oddio, poetessa è forse troppo!

Fiumi d’inchiostro dal Rinascimento ad oggi sono stati versati su questi versucci deliziosamente intriganti, ed è venuto fuori di tutto, ma se proviamo a leggerli senza condizionamenti, ne emerge il profilo di un’adolescente standard di buon livello sociale, che si lamenta della marcatura troppo stretta di un arcigno zio, tale Messalla (quasi certamente il titolare del famoso circolo letterario), fa i capricci e batte i piedini, sbava dietro a questo tal Cerinto (un uomo probabilmente più grande di lei, e non appartenente alla sua sfera sociale), si sdilinquisce per amore e ruggisce, pardon miagola di gelosia. Due le ipotesi più accreditate per individuare questo amicus: una lo identifica con il Cornuto citato da Tibullo (in greco kèras vale appunto "corno") e l’altra con il Cerinto attaccato da Orazio nella seconda satira del primo libro.

Per la prima ipotesi è un ostacolo insormontabile il fatto che la "e" di kèras è breve laddove quella di Cērinthus è lunga, mentre è molto probabile la seconda, dove Orazio accredita il suo Cerinto come impenitente donnaiolo, e Sulpicia appunto di questo aspetto si lamenta: "Carino, ti giaci in letti pulciosi e ignori me: ma non credere di passarla liscia!".

Il Cerinto di Sulpicia, se è quello di Orazio, doveva avere da quindici a venti anni più della ragazza (azzarderemmo lei diciottenne e lui trentatreenne) perché il primo libro delle Satire fu pubblicato intorno al 35 a. C. e costui doveva essere già allora un brillante gigolo almeno ventenne, essendo descritto come seduttore di ricche matrone ingioiellate! Avremmo preferito per il grande amore di Sulpicia un coetaneo o quasi, ma non sarebbe il primo caso di una giovinetta che si innamora di un uomo più grande di lei e ne rimane infatuata pur rendendosi conto dei suoi difetti: l’innamoramento più clamoroso del genere nella letteratura universale è quello di Tatiana per Eugenio Onegin nel capolavoro di Puskin! L’atteggiamento di Sulpicia nei confronti di Cerinto è quello tipico della ragazza innamorata di un mascalzone, di cui conosce bene la natura di tombeur des femmes, ma non può farci nulla!

Nella "scandalosa" elegia con cui si apre il diario, Sulpicia confessa a cuore aperto un intimo segreto! È andato vicinissimo a scoprirlo il filologo americano contro corrente Kirby Smith: nota la natura di diario delle elegie di Sulpicia e in riferimento all’elegia in questione afferma che deve essere stata scritta "subito dopo la consumazione dell’amore". Ma io credo non si tratti di una "consumazione" di routine!

Il Kirby poteva fare un passettino in più: quello che viene registrato è lo shock della prima volta! Possibile che nessun serioso filologo, nostrano o foresto, se ne sia reso conto? Ce lo rivela quel tandem gridato in apertura della confessione, che segna l’agognato punto d’arrivo di una serie di inconcludenti incontri furtivi e di trepidanti petting più o meno approfonditi: "Finalmente..! Finalmente ho fatto l’amore!". È un grido del cuore che ha un senso solo se l’incontro d’amore è stato il primo, non uno dei tanti!

La fanciulla era guardata a vista: ma, come ben sappiamo dalla letteratura e dal melodramma, quando una donna, giovane o non più giovane, vuole qualcosa, se la prende e non c’è vigilanza che tenga, come recita il sottotitolo del Barbiere di Siviglia: "ovvero l’inutile precauzione".

I sei componimenti di Sulpicia ci sono pervenuti attribuiti a Catullo perché almeno fino a tutto il XVIII secolo non si riteneva possibile che una donna potesse comporre dei versi di una qualche importanza.

Che Sulpicia sia stata una ragazza in carne ed ossa, è oggi fuori discussione, ma da non molto perché per secoli non è stata neppure presa in considerazione come personaggio reale in quanto, fra l’altro, testimonianza di emancipazione femminile, molto attuale con la sua personalità spiccata, l’atteggiamento ribelle e l’aperto anticonformismo.