
Il giallo dell’officina, del ferragosto scorso. Foto di repertorio
Lo trovarono sfregiato dall’acido nell’officina in cui lavorava, a Monte San Savino. "Per il caldo lo aveva bevuto, per sbaglio", si disse all’inizio. Per un mese rimase in coma al Cinasenello di Pisa, rischiò la vita. Un incidente sul lavoro? Macché, qualcuno voleva ammazzarlo. O almeno questa è l’ipotesi da cui prese il via l’indagine della procura di Arezzo nelle settimane successive e che oggi arriva in aula, davanti alla giudice per le indagini preliminari Giulia Soldini.
La gup dovrà decidere se mandare a processo chi avrebbe voluto ammazzare Muhammad N., pakistano, 29 anni. L’indagato, che da stamani potrà diventare anche imputato, è un suo connazionale, quello che era un suo amico, tanto che i due avrebbero voluto aprire un autolavaggio insieme. E dal loro progetto gli inquirenti hanno anche trovato il movente. Sì, perché Muhammad avrebbe prestato - questo è stato il suo racconto - 8mila euro al futuro socio: somma necessaria, insieme ad un’altra quota dello stesso importo, per aprire un autolavaggio, o meglio comprare quello dove lavorava in via XXV aprile, a Monte San Savino. Peccato che quei soldi poi non sarebbero più bastati per mettere a terra l’idea e da qui la richiesta di alzare l’asticella dell’investimento. A quel punto Muhammad avrebbe però detto no, grazie.
E così si arriva a ferragosto scorso, il giorno della resa dei conti. I due si incontrano. Quella che sarà la vittima era lì dove doveva essere: al lavoro. Lì all’autolavaggio arriva anche lui, non doveva essere lì. Ma arriva. Dalla ricostruzione fatta dalle indagini il clima tra i due si scalda, il più grande dei due lo colpisce con un bastone, gli mette le mani al collo e lo costringe a bere acido muriatico.
E così i soccorsi lo ritroveranno in quella torrida giornata d’estate, riverso a terra, privo di sensi. Viene portato al San Donato, poi, dopo una lavanda gastrica, a Pisa: troppe gravi le sue ferite. Il liquido gli aveva distrutto l’esofago. Per un mese rimase in coma, lottò per la vita. Dopo le dimissioni la ripresa a singhiozzo con altri interventi e ricoveri. : "Se parli non ti rido i soldi", gli aveva detto il suo aggressore. Ma lui ha deciso di andare avanti: con il suo avvocato Marco Gnalducci, assistito dai colleghi Bernardo Viciani e Riccardo Capezzuoli, ha querelato il suo aggressore. E quella che è venuta fuori è un’altra storia: non un incidente sul lavoro, una storia di soldi, una storia di vendetta.
Luca Amodio