LUCIA BIGOZZI
Cronaca

Terremoto, "Correvano a salvare i figli, morti con loro". Vigili del fuoco applauditi in strada: il racconto

Tornati a casa da Siria e Turchia. "Scavavamo tra le scosse sotto una palazzina di 8 piani crollata: al distributore tutti fuori dalle auto per salutarci"

I vigili del fuoco scavano tra le macerie nelle terre colpite dal terremoto

Arezzo, 14 febbraio 2023 – Hanno tentato di mettere in salvo i figli, mentre il terremoto squarciava un palazzo di otto piani. Si sono precipitati nelle camerette, li hanno presi in braccio ancora assonnati e ignari, oppure in lacrime e terrorizzati. Non ce l’hanno fatta e sono morti tutti insieme, abbracciati, nell’unica stanza dove il soffitto è diventato p avimento.

Li hanno trovati così, genitori e figli, alla fine di varchi aperti tra le macerie per salvare vite e recuperare vittime. Una palazzina di otto piani venuta giù in pochi secondi. "Il quarto piano era ridotto a un metro e mezzo dalla strada", dice Piero Conti che con Filippo Barbagli ha lavorato nell’inferno di Antiochia. Vigili del fuoco del comando di Arezzo e professionisti della squadra Usar Toscana addestrata a intervenire sugli scenari di grandi calamità, come quella che ha messo in ginocchio Turchia e Siria. "Qualcosa di enorme, una forza distruttrice molto estesa. Credo di aver visto solo due o tre abitazioni agibili, in mezzo a rovine, palazzi sventrati e pendenti o da abbattere perché pericolanti". Ore e ore tra quelle macerie, mentre "le scosse di terremoto continuavano a far tremare tutto", aggiunge Filippo, 54 anni e da 25 vigile del fuoco. Sa come affrontare gli effetti di un terremoto per aver lavorato tra le macerie in Umbria e Marche, nel 2016, alla sua prima missione interazionale e "in un contesto quasi apocalittico". La terra che trema, i familiari in attesa, "sperano fino all’ultimo", o chiedono aiuto perché poco più in là hanno sentito segnali, flebili, di vita sotto le rovine. "In alcuni casi abbiamo operato nei punti in cui le persone indicavano di aver sentito voci o rumori".

La squadra Usar ha salvato due persone nei sei giorni ad Antiochia. "Nel mio turno di lavoro abbiamo estratto vivo un ragazzo di 30 anni. Mandava segnali, seppure deboli, che abbiamo intercettato. Era al quarto piano. E’ l’unico sopravvissuto al crollo e in quel palazzo vivevano molte famiglie con tanti bambini piccoli", racconta Piero, 42 anni, che quel giorno non lo dimenticherà. "E’ stata una gioia, un risultato che dà senso alla nostra missione. Siamo partiti per poter aiutare".

Piero e Filippo hanno lasciato Arezzo di corsa, quando è arrivata la chiamata dal coordinamento toscano Usar. Talmente di corsa che hanno dovuto preparare le borse con gli indumenti in pochi minuti: "Eravamo in servizio dalle 8, avevamo appena concluso un intervento sopra un tetto per una canna fumaria. Rientrando al Comando c’è stata la chiamata e siamo partiti subito", spiega Filippo che con i colleghi e i sanitari aretini della Usar, Sara Montemerani e Samuele Pacchi, nel giro di poche ore si è ritrovato in una città lontana, con oltre duemila palazzi abbattuti dalla furia del terremoto e la morte a un passo, lì sotto le macerie. Filippo ha lavorato in un turno in cui "purtroppo non abbiamo trovato persone vive, solo vittime". Ne hanno recuperate 17, in gran parte bambini. "E’ stato il momento più brutto. Siamo addestrati a situazioni estreme e quando lavoro resto concentrato su quello che devo fare senza lasciarmi condizionare dalle emozioni", spiega Piero, ma adesso dopo il rientro a casa, le immagini, i suoni, le sirene, i rumori riaffiorano. "In questa tragedia ci sono tantissimi bambini che non ce l’hanno fatta. Li abbiamo trovati abbracciati ai genitori che hanno tentato di metterli in salvo" .

Poi ci sono i vivi, quelli che non hanno più niente ma sono in piedi: "Persone composte nel dolore, che ci hanno accolto con calore e gratitudine". E’ l’ultima scena prima del volo per l’Italia che Piero e Filippo terranno tra i ricordi indelebili: "Eravamo diretti all’aeroporto e a metà strada abbiamo fatto una sosta tecnica in autogrill. Le persone che erano lì ci hanno applaudito e salutato". Gratitudine certo, ma anche quel seme di umanità che nessun terremoto potrà mai distruggere.