
Samuele Pacchi e Sara Montemerani nella foto di gruppo
Arezzo, 13 febbraio 2023 - "Siete i nostri eroi" ci hanno detto: e mentre lo racconta, in coda ad una delle settimane più incredibili della sua vita, la voce di Samuele Pacchi si incrina un po’. Lui, l’infermiere del 118 per ore tra le macerie del terremoto in Turchia. Sempre a fianco di Sara Montemerani, il medico sempre della Asl con la quale ha condiviso questa avventura. Sono rientrati in nottata ma ieri erano ancora nella zona di Antiochia. "Dovremmo partire in serata" ci confidava, con il filo di in certezza degli otto chilometri che lo dividevano dall’aeroporto, otto chilometri di strade intasate.
"Cosa mi resta di questi giorni?". Ti fa capire che non gli basterebbe la vita per raccontarlo. Ma ci prova lo stesso. "La devastazione assoluta e la disperazione della gente. Ma anche la gentilezza e il piacere con cui siamo stati accolti". Diventati l’anticamera dell’amicizia. "Un giovane lavora all’aeroporto di Istanbul, un altro fa il programmatore ed è un volontario". Per giorni hanno lavorato fianco a fianco.
"Lui teneva i collegamenti tra noi e i familiari in attesa che venissero ritrovati i loro cari". Immaginatevi la scena: il palazzo raso al suolo, gli scavi tra le macerie illuminate di notte dalle fotoelettriche, fuori del recinto padri, madri, fratelli in attesa del miracolo. E hai l’impressione che questi fotogrammi Samuele li riviva mentre li racconta.
"Tutti discreti, mai una volta qualcuno che abbia alzato la voce per chiederci di fare presto, di tirare fuori qualcuno". Due volte ci sono riusciti. Tra cui il ragazzo di 23 anni ritrovato dopo 48 ore dal crollo. "Nel momento in cui ha visto qualcuno ha ripreso a lottare: era affaticato, parlava lentamente, ma ha sentito di essere davanti a dei coetanei". E non solo. "Studiava per diventare infermiere" gli ha raccontato mentre lo stabilizzavano. "Ma stabilizzare è una parola grossa tra le macerie di un palazzo crollato: gli abbiamo ridato dei liquidi e degli antidolorifici".
Samuele parla e racconta nelle sue ultime ore in Turchia. "Lavoravamo tra scosse di terremoto continue". L’ultima non la dimenticherà facilmente. "Una scossa lunga, insistita, intorno alle 18 di sabato".
Non nega di aver avuto paura, anche se lo senti sarebbe pronto a ricominciare, anche se ieri è arrivato il cambio che permette loro di tornare a casa. "Sopra la zona degli scavi c’era un palazzo visibilmente pericolante: lo controllavo continuamente, specie dopo le scosse".
Gli studi che ha fatto gli consentono di agire direttamente anche sotto le macerie. "Eravamo sempre collegati con i vigili del fuoco, ci avvertivano appena c’era bisogno". Ma non solo al momento di estrarre qualcuno per soccorrerlo. "Entravamo anche noi tra le macerie, specie quando si trattava di dare delle risposte a chi trovavi vivo".
Un mondo parallelo, che per una settimana è stato il suo unico mondo, insieme al campo tenda, al freddo pungente della notte dal quale era difficile trovare riparo. "Ad un certo punto c’è stato anche un allarme intorno alle macerie per delle bande armate, poi è rientrato: ma c’erano sempre militari a proteggerci".
Fuori del recinto la madre e il fratello del giovane ritrovato vivo, e il loro volto al momento dell’annuncio. Dentro anche il dolore sordo. "Se lo immagine se trovavi due morti abbracciati". Ora passa le consegne, tona al suo lavoro di prima. Con che spirito? "Glielo potrò dire una volta in Italia: ma è chiaro che una situazione del genere ti cambia la visione della vita". Il suo nuovo amico turco ad agosto verrà a trovare lui e Sara. "La verità è che eravamo qui per soccorrerli ma siamo stati noi ad essere coccolati". E quell’abbraccio se lo porta dentro, sull’aereo che si allontana dall’inferno di Antiochia.