
Una momento di vita insieme al centro di accoglienza Tahomà di Bibbiena che ospita 18 migranti
Sono storie che non vengono raccontate abbastanza. Ma dietro ai numeri freddi dell’accoglienza e ai dibattiti sull’immigrazione, ci sono volti, nomi, sogni e percorsi di rinascita. Come quello di un giovane ragazzo dell’Africa subsahariana, arrivato in Italia minorenne, accolto da Tahomà nell’ottobre del 2022. Era solo, quando è arrivato. E il suo passato era più pesante dei pochi bagagli che portava con sé. Aveva perso i genitori, era fuggito da casa per sopravvivere.
Durante il lungo viaggio, attraversando la Libia, è stato imprigionato per uno, forse due anni, per il solo motivo di essere nero. Racconta di torture, abusi, fame. E di un dolore che non lo abbandona mai: la morte del suo migliore amico, spirato fra le sue braccia, in una prigione libica. Quando è riuscito a fuggire, ha affrontato la traversata più dura: quella del Mediterraneo.
Ha rischiato ancora, ma è arrivato in Italia. Accolto da Tahomà, si è distinto fin dal primo giorno per la sua educazione, la gentilezza, la voglia di imparare. Studiava anche oltre l’orario scolastico. Si è iscritto a una scuola di calcio, si è creato una rete di amici, ha imparato in fretta la lingua. Oggi ha 18 anni, lavora in una grande azienda del territorio – grazie anche ai contatti nati proprio nel campo da calcio – e ha appena finito la scuola. Sta per prendere la patente. Il suo sogno è riabbracciare la famiglia, portarla qui. A novembre 2023 a Bibbiena sono arrivati altri due ragazzi, anche loro minorenni, provenienti dal sud del Sahara. Oggi hanno 17 anni e ogni giorno dimostrano cosa significa resilienza. La mattina frequentano una scuola professionale per diventare idraulici, il pomeriggio sono iscritti alle scuole medie. Escono di casa alle sei del mattino e rientrano alle nove e mezza di sera. Una routine dura, ma non si lamentano mai. Hanno un sogno: aprire un’azienda, restituire al territorio che li ha accolti, costruirsi un futuro. Non sono casi isolati.
Molti dei ragazzi passati per il centri di accoglienza del Casentino si sono inseriti nel tessuto produttivo locale: operai, muratori, saldatori, addetti al cablaggio. Le aziende del territorio, da Arezzo a Bibbiena, hanno aperto le porte. E loro hanno risposto con serietà, puntualità, dedizione. Alcuni sono riusciti anche a compiere un ulteriore passo verso l’autonomia: hanno preso in affitto una casa. Tanti stanno avviando le pratiche per il ricongiungimento familiare. Dietro a queste storie non c’è solo integrazione. C’è il coraggio di chi ha attraversato l’inferno e oggi cerca, semplicemente, di vivere. E c’è un pezzo di Arezzo che – in silenzio, con concretezza – sta costruendo ponti.
Ga.P.