Tradita dalla trasfusione sbagliata contrae l’epatite nel parto, dopo oltre 50 anni fissato un risarcimento

La quota stabilita a cinquantamila euro, riconosciuto il danno esistenziale. Il rimborso era stato negato per venti anni dai giudici fino alla Cassazione. Sentenza tra le prime applicazioni delle conseguenze morali sulla persona

Il caso della donna sottoposta a una trasfusione sbagliata nel parto: avrà il rimborso (foto repertorio Ansa)

Il caso della donna sottoposta a una trasfusione sbagliata nel parto: avrà il rimborso (foto repertorio Ansa)

Arezzo, 8 luglio 2024 – Una trasfusione sbagliata in un parto complicato e oltre mezzo secolo per ottenere il risarcimento. Sono le coordinate della storia accaduta a una donna aretina che nel 1970 aveva 20 anni.

Ora, il tribunale di Firenze ha emesso una sentenza che apre la strada perché è tra le prime applicazioni delle conseguenze morali del danno sulla persona. Un precedente che farà da apripista per altri casi analoghi. Il risarcimento è stato fissato dai giudici in cinquantamila euro.

La storia è quella di una donna aretina che durante il parto va incontro ad alcune complicazioni che richiedono il ricorso alla trasfusione di sangue. Passano gli anni, quasi trenta per la precisione e accade l’imprevisto: la donna scopre di aver contratto l’epatite C. Gli effetti hanno cambiato radicalmente la sua vita al punto che è stata costretta anche a cambiare lavoro. Nel 2000 presenta domanda di risarcimento ma viene respinta. Lei non si scoraggia a chiama in causa direttamente il ministero della Salute: per lei comincia una lunga sequela di udienze che si dilatano nel tempo. Dapprima il tribunale aretino le riconosce il diritto a ricevere un indennizzo per il danno patìto, ma il verdetto dei giudici viene annullato dalla Corte d’Appello di Firenze.

La donna non si dà per vinta e lo scorso anno presenta un ricorso impugnando la decisione dei giudici fiorentini e rivolgendosi alla Cassazione. I giudici della Suprema Corte lo respingono sottolineando la quasi totale remissione della malattia e soffermandosi sul concetto in base al quale il danno psichico non è contemplato nella tabella dei rimborsi.

L’ultimo miglio della battaglia giudiziaria è tutto a favore della donna che attraverso i suoi legali riesce a dimostrare il contrario.

Un’azione dettagliata e tenace portata avanti dall’avvocato Luca Fanfani e dal collega Nicola Fabbri, che è stata accolta dai giudici del tribunale fiorentino che hanno riconosciuto sulla base degli elementi documentali di prova raccolti proprio dal collegio difensivo, che esiste una correlazione tra la trasfusione sbagliata e l’impatto sulla vita privata e sociale della donna che ha impiegato molti anni prima di riprendersi. Per questo, il tribunale fiorentino ha fissato al cifrea del risarcimento in cinquantamila euro. E al di là del rimborso, la sentenza apre la strada a una giurisprudenza che d’ora in poi potrà riguadare casi analoghi a quello della signora aretina. Che ha portato avanti con coraggio e tenacia una battaglia legale andata avanti per oltre mezzo secolo. Nel 1970 aveva solo venti anni e la gioia della maternità, poi la scoperta dell’epatite C e la lunga trafila nelle aule giudiziarie. Alla fine, è riuscita a chiudere il cerchio con il supporto fondamentale del collegio difensivo. Ma per avere giustizia di un danno subìto, c’è voluto oltre mezzo secolo.