ROBERTO BERTONCINI
Cronaca

"Traditi da tutti, solo promesse": sfogo di un licenziato Bekaert

Dopo l’avvio della procedura per la chiusura, Marcello Gostinelli racconta il suo calvario. «Il nuovo presidente del Consiglio regionale ci aveva dato rassicurazioni»

Marcello Gostinelli

Arezzo, 13 dicembre 2020 - È una scala di emozioni dalle diverse sfumature quella che in questi giorni stanno vivendo i lavoratori dello stabilimento Bekaert. Tra loro c’è Marcello Gostinelli, sangiovannese, ma da anni residente con la famiglia a Figline a due passi dalla fabbrica. Era il 10 dicembre del 1984 quando entrò all’ex Pirelli: esattamente trentasei anni dopo arriva la doccia fredda della riattivazione dei licenziamenti. L’ennesima di questa vicenda.

«Ero stupito, sinceramente mi aspettavo tutt’altro – racconta – Il nuovo presidente del Consiglio regionale Mazzeo circa due mesi fa era venuto a salutarci ai cancelli e ci aveva detto che il lavoro per la reindustrializzazione stava andando avanti e che il Ministero a breve ci avrebbe convocato. E invece è partita una nuova procedura di licenziamenti».

Una situazione che dopo due anni e mezzo lascia un forte amaro in bocca e una soluzione all’orizzonte ancora non c’è. «Bekaert è la prima responsabile di questo, ma anche la politica italiana non è riuscita a proporre un piano – prosegue Marcello – Abbiamo ottenuto la cassa integrazione, che doveva consentirci di lavorare con più tempo a disposizione al recupero dello stabilimento.

Non ci è mai stato presentato un piano né dall’advisor né tantomeno dall’azienda, i soli sul tavolo erano quello di Trafilerie Meridionali e della cooperativa, un progetto secondo me ben strutturato, ma che per una volontà politica non è stato preso in considerazione. C’è rabbia: in decenni di processi di delocalizzazione non si è saputo arginare questa emorragia e la nostra è l’ennesima storia di una fabbrica che, come tante altre, ha chiuso così».

La realtà di oggi dello stabilimento vede lavoratori che hanno un’età media di cinquant’anni, molti dei quali sono in fabbrica da minimo quindici o venti. Pensare a come reinventarsi non è per niente semplice e la pandemia non fa altro che amplificare il tutto.

«Il limite vero, oltre all’età, paradossalmente è proprio quella cordicella metallica che facevamo – spiega – Siamo stati un’eccellenza dello steelcord, ma non è un mestiere spendibile da altre parti. Potremmo cavarcela in qualche modo, ma il mio pensiero va anche ai giovani che potrebbero perdere un luogo importante per l’occupazione». Per questo emerge una certa determinazione, l’orgoglio di non arrendersi nonostante la paura.

«Chiediamo che sia ritirata la procedura di licenziamento, che vengano prorogati gli ammortizzatori sociali e che soprattutto si arrivi a parlare concretamente della reindustrializzazione, anche se le speranze si stanno affievolendo».