Arezzo, 12 aprile 2017 - Il Gip Giampiero Borraccia ha convalidato gli arresti scaturiti dal doppio blitz della Guardia di Finanza che ha messo le mani sui un grosso traffico di oro al nero. Il giudice ha disposto la custodia cautelare in carcere per Ahmed Adam Djidjelli, l'algerino di documenti francesi; misura cautelare meno afflittiva per Alessandro Riccarelli per il quale scattano gli arresti domiciliari. I provvedimenti si riferiscono al 648 ter, ovvero il reimpiego di beni di provenienza illecita, qualificandolo come tentativo. In pratica lo scambio oro-contanti non si sarebbe perfezionato compiutamente. Con l'ordinanza il Gip Borraccia ha accolto in pieno quelle che erano state le richieste del pubblico ministero Marco Dioni. I due arrestati si erano avvalsi della facoltà di non rispondere.
C'è un filo rosso che lega i due blitz messi a segno dalla Guardia di Finanza tra venerdì e sabato. Un filo rosso che ne fa due operazioni collegate, contro lo stesso traffico di oro al nero, dal produttore al destinatario finale, da Valenza Po, l’altra capitale del metallo prezioso, a Dubai, con perno ad Arezzo, il vero centro nevralgico dell’affare stroncato dal nucleo di polizia tributaria dopo mesi e mesi di pazienti intercettazioni e appostamenti.
Mesi nei quali i finanzieri al comando del tenente colonnello Peppino Abruzzese hanno ascoltato (e seguito) le mosse dell’organizzazione: il corriere internazionale, il corriere nazionale dell’ultima spedizione di oro grezzo, gli orafi aretini che scambiavano prima i contanti per le lamine e poi i gioielli ancora per denaro frusciante.
Gli avvocati difensori del primo, Claudio Virgillo e Stefano Buricchi, e del secondo, Alessandro Serafini, hanno vivacemente contestato la legittimità dei due arresti, avvenuti nella zona industriale di San Zeno dopo uno scambio fra 14 chili di gioielli (di Riccarelli) e mezzo milione in contanti (l’algerino): a loro avviso non sussiste il reato di impiego di beni e denaro di provenienza illecita (in sostanza una fattispecie molto simile al riciclaggio) contestato dal Pm Marco Dioni, che segue le indagini.
Al comando della Finanza, intanto, veniva interrogato un altro orafo coinvolto nell’altra parte del blitz, quella di venerdì pomeriggio, che ha portato alla denuncia di Dino Peruzzi (difeso dall’avvocato Francesco Molino), imprenditore di Civitella, e di Luca Franco, orafo di Valenza Po, sorpresi nel garage della casa del primo dopo che Franco aveva ceduto lamine d’oro senza punzonatura in cambio di 532 mila euro. Qui i tempi della convalida, che non riguarda la libertà personale, sono più lunghi, il reato ipotizzato è ancora il riciclaggio.
Gli inquirenti, tuttavia, hanno già un’idea abbastanza chiara di come funzionasse il traffico, che La Nazione è in grado di ricostruire. In sostanza, si partiva dall’oro grezzo in lamine, la materia prima, che nell’ultimo caso veniva da Valenza, anche se pare che il banco metalli alessandrino si rifornisse anche presso una grande azienda aretina. A quel punto avveniva clandestinamente la lavorazione in gioielli, soprattutto catename, che poi veniva ceduto all’algerino Ahmed Adam Djidjelli.
Una specie di referente che faceva la spola: un viaggio ogni 15 giorni, sempre più o meno con lo stesso scambio, mezzo milione per i preziosi. Il che fa salire ad alcuni milioni il fatturato dell’affare solo negli ultimi mesi, quelli seguiti attraverso le intercettazioni, da fine 2016. Era sempre Ahmed a incaricarsi poi del trasporto in auto fino a Marsiglia.
Da lì, il salto via mare in Algeria, paese sostanzialmente chiuso ai preziosi aretini per i dazi altissimi. Una vera e propria French Connection, come quella degli anni ’70, ma con l’oro al posto dell’eroina. L’ultima tappa, secondo gli inquirenti, era per almeno una parte dell’oro Dubai, autentico porto franco per il Medio Oriente. Tutto al nero, come per Fort Knox. Solo i valori sono decisamente più bassi: alcuni milioni contro 180. Perchè la Finanza stavolta è arrivata prima?
Salvatore Mannino