È il giorno della requisitoria. Per il processo sulla tragedia dell’Archivio di Stato è arrivata l’udienza delle richieste di condanna per la pm Laura Taddei, che il 20 settembre 2018 si ritrovò sul tavolo il fascicolo quello che è stato uno dei più tragici incidenti sul lavoro degli ultimi anni in città. Due le vittime, i due dipendenti Piero Bagni e Filippo Bruni, morti per l’esalazione di argon, per i quali sono seduti al banco degli imputati in undici: tutti sono accusati di omicidio colposo più una sfilza di altri reati, dal falso alla violazione della normativa di sicurezza del lavoro, capi di imputazione che variano a seconda del ruolo che ebbe ciascuno nella ricostruzione della procura.
Tra gli imputati figurano i due ex direttori, Claudio Saviotti e Antonella D’Agostino, insieme agli altri incaricati delle ditte di manutenzione che si sono alternate nel tempo per la cura dell’impianto. Impianto che per trascuratezza e negligenza era diventato un macchina per uccidere. Dopo quasi sette anni il processo arriva al giro di boa ma per la sentenza ci sarà da aspettare ancora diversi mesi: arriverà forse a maggio, se non ci saranno inciampi, ma per ora rimane tutto in bilico anche perché, a tornare indietro, ci vollero due anni tre mesi per arrivare all’udienza preliminare con cui il gup Claudio Lara rinviò a giudizio anche nomi eccellenti della città.
E infatti dopo l’udienza di oggi si dovrà tornare in aula diverse volte prima di arrivare alla decisione del tribunale: il prossimo 20 febbraio sarà la volta degli avvocati di parte civile per la loro discussione, poi toccherà alle arringhe dei legali di difesa degli undici imputati. Sarà lunga. Il procedimento mette al centro della discussione il funzionamento dell’impianto e le responsabilità penali collegate alla questione.
Nella ricostruzione della pm Laura Taddei i problemi sarebbero iniziati da un vetrino di separazione non originale e la valvola di sicurezza del gas montata al contrario. Secondo la versione dell’accusa l’allarme sarebbe scattato alle 7.40 di mattina: così per difetto del vetrino di rottura non originale e per un errore di programmazione del sistema viene rilasciato il gas mortale. E poi il secondo malfunzionamento. Nel bugigattolo del seminterrato in cui sono conservate le bombole di argon, inodore ma letali, il gas esce verso lo stanzino non verso gli ambienti protetti al piano superiore. Questo per la valvola montata al contrario. Pero e Filippo sono lì a controllare che tutto sia apposto ma la raffica di gas li uccide entrambi. Uno muore sul posto, l’altro dopo qualche minuto.
La procura contesta agli ex direttori di aver omesso la valutazione del pericolo per i dipendenti, di non aver informato loro dell’effetto letale dell’argon, né di aver organizzato corsi di formazione in materia che impedissero ai lavoratori di trovarsi nella situazione di pericolo.