Dormono dentro ai trattori, o nei sacchi a pelo sdraiati nel grande prato sul raccordo anulare. Roma, periferia nord: è qui il quartier generale della protesta. Qualche centinaio finora, ma il popolo dei trattori è ancora in movimento verso la Capitale e ogni giorno si aggiungono altri manipoli a rinforzare le fila dell’"esercito". Che sfilerà coi bisonti dei campi, tra i sampietrini della Città eterna, giovedì o venerdì. Il tam tam della grande manifestazione corre sui telefonini degli agricoltori che si preparano al giorno "della verità, quello in cui il governo dovrà dare risposte certe alle nostre istanze", tuona Alessandro Zucca, 27 anni, capo del presidio Valdichiana. Nel grande prato alle porte di Roma è arrivato con una sessantina di agricoltori aretini e tiene i contatti con gli altri responsabili del movimento di protesta: coordinate, spostamenti, orari, organizzazione. Il viaggio verso Roma "è stata un’esperienza bellissima che non dimenticheremo". Certo, un viaggio tutt’altro che comodo, tredici ore sul sedile di un trattore che avanza al rallentatore lungo la Cassia, rappresentano una prova di resistenza da guinness dei primati, ma quello che Alessandro e i colleghi aretini non dimenticheranno è ben altro. "È il calore della gente che ci salutava ai lati della strada, incoraggiandoci a portare avanti la protesta".
Eppoi c’è il momento clou, dove perfino i "duri e puri" non hanno retto alla commozione. "È stato a Vetralla, nel Viterbese. Non ci aspettavamo un’accoglienza tanto calorosa: lungo la strada ci ha accolto perfino il sindaco che indossava la fascia tricolore, insieme a tanti cittadini che ci applaudivano".
Un istante di silenzio, poi Alessandro riprende il racconto: "È la dimostrazione che le persone hanno compreso le ragioni della protesta che riguarda non solo le condizioni del nostro lavoro, ma la qualità della vita di tutti, perchè se si ferma l’agricoltura, si ferma tutto". Sul grande prato del raccordo anulare si incrociano i racconti di chi ha appeso al trattore slogan e frasi che riassumono il senso della mobilitazione: pressione fiscale, costi del carburante, e regole da Bruxelles che gli agricoltori vedono come fumo negli occhi.
"Non possiamo andare avanti così. Un quintale di grano ce lo pagano circa venti euro, ma il valore di un quintale di pane supera i 300 euro. Il meccanismo si è inceppato e noi non possiamo restare stritolati nelle maglie di un sistema che avanti di questo passo, ci porterebbe a chiudere le nostre aziende". Prospettiva che Alessandro rifiuta: lui a 27 anni ha scelto di allevare pecore e coltivare fieno e cereali nel terreni di famiglia e "non voglio essere costretto a rinunciare". Poco distante, Enzo Sacconi, 71 anni, prepara le coperte per la seconda notte in macchina. A Roma c’è arrivato alla guida della sua jeep "perchè c’è bisogno anche di supporto logistico". Anche lui, come Alessandro, non molla e rilancia: "Siamo qui e andiamo fino in fondo, vogliamo lavorare in condizioni umane".
Lucia Bigozzi