
LA PROTESTA IN PIAZZA_13378095_034813
Arezzo, 5 giugno 2018 - Il padre di tutti gli azzerati di Banca Etruria è un signore distinto, sulla settantina, con la parlantina sciolta e il fare sicuro di chi si permette di rispondere con piglio deciso anche agli avvocati e al giudice. «Stia zitto, eh», intima a Luca Fanfani, difensore di uno dei tre direttori e dipendenti che lui accusa di avergli fatto perdere la «cifretta» di mezzo milione. E anche il giudice Angela Avila fatica a tratti per tenerlo nei ranghi di un’eloquenza fluviale, secca, persino imperativa.
Basti dire, del resto, che il Pm Julia Maggiore non ha bisogno di stimolarlo con le sue domande: l’ingegnere, dirigente in pensione delle Fs, ora titolare di una società di consulenza, cliente dell’agenzia Bpel di Rigutino va da solo, come un treno. La storia di colui che vanta il triste primato della maggiore perdita individuale di tutto il caso subordinate, ora a processo col suggestivo riassunto giornalistico di Truffa Etruria, chi legge La Nazione la conosce già: il professionista, il cui Mifid è di un profilo a rischio medio, che investe a giugno 2013 500 mila euro in Btp (buonio poliennali del tesoro), salvo scoprire che si tratta di titoli di stato a rischio medio alto.
Ecco allora che si lascia convincere in ottobre a disinvestire i Btp per collocare tutto nella seconda emissione di bond Bpel, quella dell’autunno, che paradossalmente hanno un rischio soltanto medio. Naturalmente perderà tutto col decreto di risoluzione del 22 novembre 2015, salvo essere poi rimborsato all’80 per cento, ma pur sempre con una perdita di oltre 100 mila euro, in parte ammortizzati dal guadagno in conto capitale al momento in cui aveva venduto i titoli di stato: circa 40 mila euro.
Di suo, l’ingegnere ci aggiunge dal banco dei testimoni i particolari e la commozione che lo coglie quando racconta del decreto azzera-tutti, che per lui giunge in un momento particolare: sta male, è sotto chemio, si dovrà anche operare. E poi ci sono le accuse rivolte a due direttori (il coordinatore di Castiglion Fiorentino e il responsabile di Rigutino) e a una dipendente: mi hanno alterato il Mifid, inserendo una propensione al rischio medio-alto che io non avevo mai autorizzato.
E ancora: mi hanno attirato col guadagno sui Btp per invogliarmi a realizzare e sottoscrivere i bond della disperazione. Disconoscerà anche la firma su uno dei documenti: è la mia, ma non l’ho messa io, qualche mano galeotta l’ha ritagliata e incollata. E’ una figura chiave l’ingegnere: se qualcuno alla fine del processo verrà condannato per truffa (l’istigazione alla truffa dei cinque dirigenti della sede centrale è un’altra cosa), dipenderà anche dal suo racconto. Per questo i difensori lo controinterrogano a fondo. E gli strappano anche qualche ammissione importante.
Anzitutto, come fa Luca Fanfani, pressandolo fino a quando non dichiara che nei Mifid anche lui non ha detto tutto, inserendo un titolo di studio(il diploma di scuola media secondaria)sotto la sua laurea. E poi che lui, che non aveva mai voluto innalzare il suo profilo medio, sottoscrisse nel 2014 subordinate Bap a rischio alto per 50 mila euro.
Lo feci, si difende il professionista, per scoprire qual era il codice dei miei interlocutori in banca, ma la discrasia c’è. Per le difese basta a rendere meno credibile la sua testimonianza, per la parte civile (Federica Valeriani) no. Ma a questo punto conta solo come la pensa il giudice Avila. Lo scopriremo in sentenza. Entro Natale.