Arezzo, 21 marzo 2020 - Ormai più che un’onda è uno tsunami, un cavallone gigantesco che sta investendo in pieno il sistema produttivo. Le piccole e medie imprese si stanno fermando una dietro l’altra, ricorrendo alla cassa integrazione per Covid introdotta dal decreto Cura-Italia del governo. Le grandi ancora vanno avanti, ma rallentano i ritmi produttivi, sia con le misure di sicurezza della distanza, sia con i piani di smaltimento delle ferie pregresse. Come ad UnoAerre che riapre lune dopo una settimana di ferie, ma a ritmo ridotto (100 al lavoro su 300), con mini-orario e (per ora) solo per 4 giorni.
Barriere in ppelxiglas per proteggere gli operai. La Cgil, per bocca del suo segretario Alessandro Mugnai, dice di avere le caselle Pec, quelle delle mail certificate, intasate dalle richieste di cassa che piovono dalle imprese. Almeno 70 richieste solo nella giornata di ieri, più decine e decine che sono state inviate alle singole categorie sindacali, dalla moda ai metalmeccanici del settore orafo ed extraorafo.
Calcolare quanti siano i lavoratori coinvolti diventa impresa ardua, ma siamo nell’ordine delle parecchie centinaia, se non già delle migliaia. Da Cna, una delle due grandi organizzazioni degli artigiani, spiegano che le richieste di cassa speciale per Covid sono già a a quota 20, per un totale di 433 dipendenti.
E qui parliamo sì di aziende strutturate, che lavorano nel manifatturiero, ma ancora di dimensioni relativamente modeste. Otto sono quelle del settore orafo, sei del resto del metalmeccanico, tre dei trasporti, due del legno e una della chimica. Soprattutto per i gioielli pesa il blocco dell’export, sia in America che nell’Eurozona Si arrendono anche le grandi firme, come Giordana Giordini, presidente locale di Federorafi, l’associazione di categoria all’interno di Confindustria.
L’imprenditrice ha fermato ieri la produzione nel suo stabilimento di Pieve al Toppo: tutti in ferie finchè ci sono e poi, se los scenario non cambia nel giro di una settimana-dieci giorni (estremamente improbabile) ancora cassa integrazione.
«Era inutile continuare in queste condizioni - spiega Giordana Giordini - abbiamo provato a resistere, ma i nostri clienti nel mondo stanno chiudendo uno dopo l’altro, dalla California a Dubai. Uno mi ha addirittura rispedito l’oro indietro: tenetelo voi che è più sicuro. Valeva la pena di chiedere un sacrificio ai dipendenti finchè c’era un mercato. Così vorrebbe dire solo farli rischiare a vuoto».
Prosegue per il momento un altro nome simbolo come Gabriele Veneri, l’ex giostratore che è anche il portavoce degli orafi di Cna. Il distretto dei gioielli, però, è ogni giorno più rattrappito, nel mentre si annuncia una recessione assai peggiore di quella del 2008, la più grave forse del dopoguerra. In molte famiglie si preparano settimane di liquidità precaria.
La cassa integrazione dell’Inps arriva di solito qualche settimana dopo, la speranza è che almeno qualche azienda riesce ad anticipare le spettanze ai dipendenti. Mugnai esce per la prima volta allo scoperto: «Bisogna fermare le aziende, tutte quelle che non svolgono una produzione indispensabile, ha poco senso questa pioggia di chiusure alla spicciolata. Tanto vale fermarsi tutti per poi ripartire».
Intanto, si apre un altro fronte, quello della grande distribuzione in cui c’è forte tensione, soprattutto sulle chiusure domenicali. Cgil, Cisl e Uil nazionali hanno proclamato un pacchetto di scioperi di 16 ore. Ad Arezzo ttutavia la situazione è un po’ meno calda che nelle grandi città.
Coop e Conad hanno annunciato che domenica saranno sbarrate, così come Gala, la ex A&O. Esselunga e Pam restano aperte nel giorno festivo ma con orario ridotto, fino alle 15. Si scontrano le esigenze del grande pubblico di diluire le aperture per evitare le code e quelle dei dipendenti che si sentono in prima linea, soprattutto chi sta dietro le casse, esposte al contatto e al pericolo di contagio con centinaia di clienti sconosciuti. E’ il caos, nemmeno tanto calmo, del tempo del virus.