
Guerrina Piscaglia fu uccisa nel 2014. A destra il killer: padre Gratien Arabi
È stata uccisa undici anni fa. Anche se il suo corpo non è mai stato recuperato. Ma per lo Stato, Guerrina Piscaglia ufficialmente non è morta. Per questo il suo conto corrente in banca è ancora bloccato. E senza un certificato di morte, quei soldi non possono essere toccati. È l’ultimo, incredibile capitolo del giallo di Cà Raffaello, frazione del Comune toscano di Badia Tedalda, in territorio riminese (è ai confini con Casteldelci), dove la donna viveva con il marito e il figlio. Guerrina Piscaglia è scomparsa l’1 maggio 2014. Quel giorno, la casalinga di 49 anni uscì di casa per incontrare padre Gratien Alabi, frate di origine congolese parroco di Cà Raffaello con il quale aveva una relazione, e non ha più fatto ritorno. Mesi e mesi di vane ricerche. Poi la svolta nelle indagini, con padre Gratien accusato di aver ucciso la donna e averne occultato il cadavere, per il timore che si venisse a sapere della relazione clandestina.
Il corpo di Guerrina non è mai stato ritrovato. Il frate, che si è sempre professato innocente, è stato condannato a 25 anni (pena confermata in Cassazione). Una pena che sta scontando nel carcere di Rebibbia. Mirco Alessandrini, marito di Guerrina, nel frattempo si è trasferito insieme a Lorenzo, il figlio della coppia, a Sansepolcro. Qui ha cominciato una nuova vita. Attualmente lavora per una squadra di calcio. Ma il dolore e la rabbia non si cancellano. "Padre Gratien dica la verità. Vogliamo sapere dove si trova il corpo di Guerrina, e recuperarlo. Io e mio figlio vogliamo darle l’ultimo saluto e assicurarle una degna sepoltura", dice il marito di Guerrina attraverso i suoi avvocati, Nicola Detti e Francesca Faggiotto. Nel frattempo si avvicinano alla conclusione le cause civili avviate contro la diocesi di Arezzo dai legali della famiglia Alessandrini e dalle sorelle di Guerrina. Il marito e il figlio della vittima chiedono un milione di euro di risarcimento, le sorelle altrettanto.
"Le responsabilità da parte della diocesi di Arezzo – incalza l’avvocato Detti – sono oggettive. Perché la diocesi aveva già tutti gli elementi per intervenire addirittura prima della scomparsa di Guerrina. Diversi parrocchiani avevano segnalato i comportamenti anomali tenuti da padre Gratien Alabi, nei confronti di Guerrina e anche di altre persone, ma la diocesi di Arezzo non ha fatto nulla". Si attende il verdetto dei giudici tra poche settimane. E si spera, intanto, di risolvere un’altra situazione paradossale. Quella del conto corrente che Guerrina aveva in una banca di Novafeltria, tuttora bloccato dopo undici anni. Senza un certificato ufficiale di morte, la banca non può chiudere il conto e consegnare finalmente i soldi ai famigliari. Per lo Stato, Guerrina è ancora viva. Un paradosso figlio della burocrazia italiana, "ma che contiamo di risolvere in tempi brevi", dicono fiduciosi gli avvocati di Alessandrini.