SIMONE
Cronaca

Ucciso da una risata?. La morte di Pietro Aretino sempre più legata alla teoria della leggenda

La fine a Venezia appesa a una apoplessia correlata al divertimento. Le ipotesi su cosa l’abbia provocata e le indicazioni contrarie.

Ucciso da una risata?. La morte di Pietro Aretino sempre più legata alla teoria della leggenda

De Fraja

Si può morire a causa di una risata? I proverbi pare confermino questa tragica conseguenza cui sembra andò incontro Pietro Aretino. Nato nel 1492, l’Aretino emerse presto come maestro dell’arte satirica, un’abilità che lo portò a Roma nel 1517 e successivamente a Venezia nel 1527. Produsse un vasto corpus di opere, tra cui commedie, poesie e prose, ma fu il suo oscuro "Sonetti lussuriosi" a catapultarlo verso una fama discutibile, data la loro audacia erotica.

Nonostante le polemiche sul suo stile di vita e sul contenuto delle sue opere, l’Aretino ebbe un impatto significativo sulla letteratura italiana e sulla cultura rinascimentale, incarnando un’immagine di intellettuale audace e provocatorio. Pietro Aretino, trovò la sua fine a Venezia il 21 ottobre 1556, secondo alcune fonti, a causa di smodati accessi di riso, una fine grottesca per un uomo intriso di sarcasmo e cinismo. Altre fonti, più verosimilmente, dicono che fu colpito da apoplessia, cioè da un’emorragia cerebrale mentre rideva o che la sua morte fu causata dal soffocamento per aver riso così forte. Qualunque sia la teoria corretta, tutti i resoconti concordano sul fatto che fu una risata a ucciderlo.

Arturo Graf riporta che il poeta udendo racconti sordidi sulle sue stesse sorelle meretrici in Arezzo, fu preso da un impeto incontenibile di riso, un riso che lo spinse al baratro. Secondo altri fu preso da un attacco di riso alla sola vista di una scimmia che indossava i suoi stivali.

Più probabilmente, rovesciatosi all’indietro sulla sedia - come lo stesso Aretino in altre lettere confida - per uno scoppio di riso o per altro motivo, cadde all’indietro, sbilanciato dal proprio peso e il suo capo colpì violentemente il pavimento, spezzando la sua esistenza tormentata. Oppure l’intensa risata, qualsiasi fosse il motivo, gli scatenò una anossia od un infarto in seguito al quale cadde inesorabilmente dalla sedia. La sua morte suscitò il gusto perverso del pubblico, confermando il giudizio dei moralisti e ispirando racconti macabri e dipinti lugubri. Ma chi fu il primo a raccontare una visione distorta della sua fine? Pare che Antonio Lorenzini, non a caso autore di un trattato sul riso, e cause ed effetti, contribuì alla leggenda pur cercando di affrontare la questione in chiave medico filosofica. Era necessario che l’ultimo atto di Aretino sulla scena del mondo confermasse la sua vita intrisa di turpitudine, come se fosse la conclusione oscura di un libro macabro. La leggenda doveva manifestare la profonda infamia della famiglia dell’Aretino, il suo cinismo pervasivo e la giustizia implacabile della sua punizione. Alcuni ritenevano che la morte dell’Aretino non potesse essere così semplice, che non si dovesse lasciarlo spirare senza pronunciare parole che confermassero la sua perversità. Pertanto, alla narrazione principale fu aggiunta una coda sinistra: si raccontò che, prima di spirare dopo aver ricevuto l’estrema unzione, l’Aretino emise un’ultima bestemmia, maledicendo chiunque osasse toccarlo dicendo "Guardatemi da’ topi or che son unto".

La morte dell’Aretino doveva essere un capolavoro finale, e la leggenda si diffuse rapidamente, alimentata da elementi di verità misti a pura fantasia. Alcuni, come Michel de l’Hopital, desideravano una fine ancora più sanguinosa vituperando la vita licenziosa dell’Aretino. Non possiamo dimenticare che una morte crudele era stata preconizzata nelle Rime di Francesco Berni che evocò perfino lo squartamento come epilogo della sperata impiccagione dell’Aretino: "Vergognati oramai, prosontuoso, porco, mostro infame, idol del vituperio e della fame" chiudendo la XXXII rima precisando "che l’anima di noia mediante un bel capestro caveratti, e per maggior favor poi squarteratti". Tuttavia, il documento incontestabile del parroco di San Luca a Venezia, datato 1556 ma reso pubblico solo nel 1581, offre una testimonianza precisa della sua morte: una caduta accidentale da una sedia a bracciuoli, seguita da confessione e comunione, con lacrime di rimorso: "Morì di morte subitanea giù da una cadrega da pozzo". Tuttavia, anzichè chiarirsi, la vicenda si infittisce se si pensa che il pievano Pietro Paolo Demetrio di Venezia era sì il pievano della parrocchia in cui l’Aretino era morto nel 1556, ma non poteva aver celebrato le esequie dello scrittore per il semplice fatto che prese servizio in quella parrocchia soltanto nel 1577, cioè ben 21 anni dopo la morte del letterato.

Verosimilmente, il documento sottoscritto dal notaio fu emesso per far cessare ogni ulteriore calunniosa elucubrazione. Allora, secondo la scienza, è possibile che l’Aretino sia morto a causa di una risata? Non disponiamo di prove che contestualizzino l’episodio, distorto dalla critica e dai detrattori.

Tuttavia la morte causata da risate intense è spesso associata a un infarto o al soffocamento, magari durante un pasto, della persona colpita; la risata intensa può innescare tali patologie in individui già predisposti e, visti i narrati stravizi e la vita sregolata cui si lasciava andare l’Aretino, potremmo essere di fronte ad un raro caso ma pur sempre concreto. Le risate intense possono portare alla sincope, una perdita temporanea di coscienza che può causare lesioni, anche mortali, dovute alla caduta o alla perdita d’equilibrio come descritto dal parroco di San Luca a Venezia.