MAURIZIO
Cronaca

Ugo Spirito, il filosofo passato dal fascismo al comunismo fino alla riscoperta di Dio

Teorico del corporativismo, non esitò nel dopoguerra ad avvicinarsi alla sinistra marxista fino ad esaltare Unione Sovietica e Cina

Maurizio

Schopeflin

Circa un anno e mezzo fa, nel novembre del 2019, ad Arezzo vennero organizzati una mostra fotografica e un convegno sulla figura di Ugo Spirito, un filosofo oggi un po’ dimenticato, ma che ebbe un ruolo non secondario nelle vicende culturali dell’Italia novecentesca. Le due iniziative, tra loro strettamente collegate, furono realizzate per ricordare il quarantesimo anniversario della morte del pensatore, avvenuta a Roma il 28 aprile del 1979, ma permisero pure di sottolineare una significativa particolarità della biografia di Spirito, ovvero che egli era nato il 9 settembre del 1896 proprio nella nostra città, alla quale sarebbe rimasto in qualche modo legato, divenendo, tra l’altro, dal 1969, socio corrispondente dell’Accademia Petrarca.

Dunque, senza alcun dubbio, possiamo annoverare Ugo Spirito tra gli aretini illustri; e tornare a soffermarsi sulla sua originale parabola umana e intellettuale appare, oltre che interessante, in certo modo doveroso per noi suoi concittadini. In Spirito le vicende della vita personale e la ricerca filosofica si intrecciano e si saldano costantemente.

Divenuto un collaboratore di Giovanni Gentile, ne seguì le orme, aderendo sul piano filosofico all’idealismo e su quello politico al fascismo - nel 1925 fu tra coloro che firmarono il “Manifesto degli intellettuali fascisti” e nel 1932 elaborò una teoria economica critica della proprietà privata, diventando così il più importante teorico del corporativismo fascista. Fu una delle occasioni che lo videro protagonista di un dibattito che non era soltanto teorico ma anche politico, con quella ipotesi della Corporazione proprietaria che uscì dal Convegno di Ferrara del 1932, che avrebbe vouto rappresentare la terzia via del fascismo, fra capitalismo liberista e comunismo collettivista.

Nel 1937, pubblicando l’opera La vita come ricerca, abbandonò la filosofia gentiliana ed elaborò un pensiero di stampo problematicista e dottrine economico-politiche più radicali. Avvicinatosi a Giuseppe Bottai, vero uomo forte della politica culturale fascista, il Nostro radicalizzò le proprie posizioni orientandosi a favore dell’edificazione di un regime totalitario e della realizzazione di una più stretta alleanza tra l’Italia e la Germania.

Spirito non aderì tuttavia alla Repubblica Sociale Italiana e, uscito indenne da un processo per apologia del fascismo (dichiarò di essere stato fascista non per interesse personale ma per autentica passione, e mai supinamente allineato alle direttive del regime), poté tornare all’insegnamento universitario, diventando ordinario di Filosofia teoretica nell’Università di Roma. Va sottolineato il fatto che in questi anni, e anche più tardi, egli pubblicò numerosi volumi, che vanno a comporre una bibliografia molto ampia, dalla quale si evince una straordinaria multiformità di interessi, che spaziano dalla filosofia all’economia, dall’arte alla religione, dalla scienza alla politica all’educazione.

Anche all’indomani della caduta del fascismo e dell’instaurarsi della democrazia parlamentare in Italia, il Nostro mantenne uno spirito anticonformista, e in un’opera pubblicata nel 1963 non esitò a criticare i regimi democratici, giungendo a sostenere che sistemi totalitari come quelli instaurati dai comunisti cinesi e sovietici erano maggiormente rispondenti alle genuine esigenze del popolo.

Non è difficile notare che questa simpatia mostrata da Spirito nei confronti della dottrina e della prassi totalitarie e anti-individualiste ben si ricollega alla giovanile adesione ideale al fascismo. In tale contesto sorprende fino a un certo punto che, non diversamente da molte altre personalità della cultura e della politica italiane, Ugo Spirito abbia finito addirittura con l’abbracciare l’ideale comunista.

Già nel 1946 si era espresso a favore della revisione in senso positivo del marxismo, mostrando tra l’altro come esso, nell’identificazione di individuo e Stato, fosse avvicinabile alle dottrine di stampo idealistico, come quel fascismo cui aveva inizialmente aderito con tanta convinzione.

Affascinato dunque dall’esperienza comunista, Spirito volle visitare l’Unione Sovietica e la Cina, e in quest’ultima ravvisò la migliore concretizzazione del socialismo scientifico marxista liberato dalle vecchie incrostazioni ottocentesche. Spirito si presenta come una personalità inquieta e poliedrica, sempre pronto a mettersi in discussione e a esercitare costantemente una mentalità critica che sembra non trovare mai un approdo definitivo.

Basti pensare a questo proposito che egli scrisse un’opera, edita postuma, il cui titolo, Ho trovato Dio, manifesta chiaramente un’ennesima svolta nel suo complesso percorso filosofico ed esistenziale. Illuminante risulta il seguente giudizio che di lui ha dato Marcello Veneziani: <>. Sempre a Marcello Veneziani dobbiamo la seguente valutazione, che risulta molto adatta a descrivere la personalità del filosofo aretino: “Spirito attraversò le epoche da precursore dei tempi nuovi e antagonista del tempo presente”. E per quanto la sua filosofia sia ormai passata di moda da un pezzo, non è diffiicile ritrovare riferimenti a Ugo Spirito in aree culturali di varia provenienza, specie quelle che si collocano alla destra del centrodestra presente in parlamento. Segno che la tradizione del pensatore aretino ha inciso più lì che non nel mondo marxista al quale si era infine avvicinato, prima di arrivare a una sofferta riscoperta di Dio.