È arrivata al "glorioso porto", seguendo la sua stella. Con determinazione e ribellione. La milanese Albertina Castellazzi, dopo essersi realizzata nello studio, nel lavoro e negli affetti (contro il giudizio di tutti) all’alba degli 87 anni ha vinto come scrittrice. Si è appena aggiudicata il Premio Saverio Tutino 2024, simbolo dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo). "Fendevo l’aria" è la memoria dei suoi primi 35 anni, dal 1937 al 1972, in cui ricostruisce la strada che l’ha condotta fuori dall’inferno.
"Mia madre è la donna più moderna che abbia mai conosciuto. Per motivi di salute non ha potuto ritirare il premio ma è felicissima. Fare la scrittrice era il suo sogno nel cassetto. Ha scritto di sé solo nel 2001 quando è scomparso mio padre, cercando di riempire il vuoto che sentiva dentro" racconta la figlia Irene Rubin, 51 anni, dirigente gestionale e madre di tre figli.
Un’infanzia difficilissima quella di sua madre.
"È nata a Milano nel 1937 ma a 4 anni muore sua madre e suo padre diventa un povero vedovo oberato da quattro figlie. Lei, la più piccola, viene spedita in collegio in un convento a Modena poi sull’Appennino, in uno stabile diviso con occupanti tedeschi. La guerra civile coinvolge la famiglia: sua zia Bianca, accusata di collaborare coi nazisti, viene gettata nella fossa ancora viva mentre le gettano la terra addosso. Alla fine della guerra torna in una Milano dove mancano luce e cibo, crescendo in una famiglia disfunzionale".
Perché?
"Mio nonno era severo, austero, anaffettivo. La sorella maggiore scappa, mentre l’altra sorella soffre di depressione e si suicida. Mia madre soffre di problemi di salute che nessuno le diagnostica. Gli insegnanti dicono che è "svogliata" e suo padre si convince che deve abbandonare la scuola e custodire lui e la casa. Lei si ribella: si rifugia nei libri e da privatista ottiene il diploma magistrale per insegnare". “La mattina, quando mi preparavo per andare a scuola, mi bastava chiudermi la porta di casa alle spalle per dimenticare tutta quella realtà fatta di ricordi dolorosi e non, e di quell’uomo solitario che mi guardava uscire con una espressione di stupore e di incredulità. Fendevo l’aria, camminando con passo svelto, determinata a buttarmi in quella nuova realtà ad ogni costo“ si legge nel suo diario. "Il lavoro a scuola è il primo passo verso la rinascita, che passa attraverso la morte del padre e il legame con la sorella Anna. Arrivano le prime socializzazioni e la conoscenza di mio padre. A scuola introduce il metodo Montessori con il bambino al centro e la conquista dell’autonomia. Un metodo che replica in famiglia".
Che madre è Albertina Castellazzi?
"Mi ha cresciuto in un clima sereno. Mi ha permesso di sperimentare, senza ansie. In quinta elementare mi mandò in Germania per studiare tedesco. Presi l’aereo da sola, con grande scandalo delle altre famiglie. Il suo insegnamento più prezioso: la libertà di una donna passa dalla sua indipendenza".
E suo padre Sergio?
"Era il più rigido, ma anche lui ne aveva passate tante. Un ebreo fuggito dalla Romania per le persecuzioni, aveva perso tutto. Nelle memorie che terminano con la mia nascita la sua vicenda è solo accennata e forse, come ha detto Guido Barbieri, meriterebbe che qualcuno la raccontasse in un altro libro".