
A perdere la vita furono quanti si trovarono nel posto sbagliato al momento sbagliato. Gli scontri dopo l’armistizio, il coraggio dei partigiani, gli eccidi più brutali a livello nazionale.
Boni
Caddero in oltre tremila. Erano tutti innocenti. Persone comuni, operai, impiegati, minatori, contadini, mezzadri, bambini, donne, anziani. Furono colpiti nei modi peggiori, con la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: bombe, mitra, colpi di pistola, cannoni, baionette, coltellate.
È soprattutto sul loro sangue che si è scritta la storia della liberazione della provincia di Arezzo dagli invasori nazifascisti, che in particolare nella primavera-estate del 1944 seminarono morte e terrore in tutto il territorio. Sono trascorsi 80 anni esatti oggi dal 25 aprile 1945, quando tutta Italia venne liberata e dunque anche questa terra poté dirsi libera una volta per sempre dopo oltre vent’anni di dittatura fascista e cinque anni di atroce guerra.
Ma la Resistenza in provincia di Arezzo rappresenta uno degli episodi più significativi della lotta contro il nazifascismo in Toscana e in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Caratterizzata da un forte impegno civile e da numerosi sacrifici, ha visto protagonisti uomini e donne di diverse estrazioni sociali, politiche e religiose. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la provincia divenne un importante teatro di scontri tra le forze partigiane e le truppe tedesche.
Le montagne dell’Appennino, come il Casentino, il Pratomagno, il Valdarno e la Valtiberina, offrirono rifugio e base operativa per numerosi gruppi partigiani che organizzarono azioni di sabotaggio, attacchi a convogli nemici e operazioni di intelligence, contribuendo in modo decisivo alla liberazione del territorio. Tra questi, si ricordano in particolare l’Ottava Brigata Garibaldi "Romagna", attiva nell’Appennino forlivese, che operò anche nelle foreste casentinesi, estendendo le sue azioni alle province di Forlì, Pesaro e Arezzo. rafforzando la rete di resistenza nella zona; la ventitreesima Brigata Pio Borri, il cui terzo battaglione era comandato da Licio Nencetti, originario di Lucignano, che operò principalmente nel Casentino e nel Valdarno Superiore.
E poi la Brigata Ponente in Pratomagno, la ventritreesima bis Sinigaglia in Valdarno, la Brigata Fantasma, la Brigata Lanciotto e molte altre. La reazione delle forze di occupazione tedesche e delle milizie fasciste alle attività partigiane fu brutale. Numerosi furono infatti gli eccidi perpetrati ai danni della popolazione civile. Il dramma ebbe inizio a primavera 1944 e proseguì fino a settembre 1944. Dopo l’eccidio in Valtiberina del 27 marzo a Villa Santinelli con 9 partigiani fucilati, il mese di aprile iniziò immerso nel sangue con le stragi consumate contro le popolazioni civili in Casentino, comprese donne e bambini, a Vallucciole (108 morti), a Partina e a Moscaio di Banzena (in totale 37 morti). Sempre in Casentino il 14-15 giugno fu la volta di Chiusi della Verna dove furono uccise 10 persone.
Il 20 toccò a Montemignaio, dove vennero uccisi 11 uomini; il 26 e 27 giugno a Falzano, a Cortona in Valdichiana, con 11 vittime; il 29 ancora in Casentino a Montemignaio, in località Carbonettoli, 5 persone uccise. Lo stesso giorno, a Castel San Niccolò, in località Cetica, vennero fucilati 13 civili. Sempre il 29 giugno, giorno nefasto per la Valdichiana e il Valdarno, la Hermann Goring colpì a morte Civitella della Chiana, Cornia e San Pancrazio di Bucine, abbattendo con mitragliatrici, fucili e bombe 244 civili inermi e innocenti.
Quattro giorni dopo in Valdarno, tra il 4 e l’11 luglio, gli stessi uomini di Civitella, operarono nel comune di Cavriglia con 192 vittime. Il 6 luglio, la scia di sangue raggiunse il comune di Loro Ciuffenna a Mulinaccio e Orenaccio, presso la frazione di San Giustino, dove in totale furono uccisi 47 uomini. Il 14 luglio San Polo con 63 persone falciate. Nei due mesi successivi la tragica sequela proseguì con l’uccisione di numerosi civili a Poppi, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Sestino e Montemignaio. Una carneficina immane, che ancora oggi viene annoverata come una delle più brutali d’Italia.
Per questo la Resistenza in provincia di Arezzo rappresenta un capitolo fondamentale nella storia. Il coraggio dei partigiani, il loro spirito di sacrificio e la solidarietà tra le diverse comunità locali hanno contribuito in modo determinante alla liberazione del territorio aretino.
In oltre tremila innocenti caddero garantendo ai posteri una libertà che troppo spesso oggi viene data per scontata. Perché la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale, solo quando comincia a mancare.