
La strage dalle cause mai chiarite del 13 aprile 1944 nel paesino del Casentino aprì una stagione di sangue in tutta la provincia
BoniAccadde tra i boschi di castagni e le foreste sterminate. Accadde nel silenzio, tra la neve che si scioglieva e la primavera che faceva capolino. Accadde e nulla, davvero nulla, in provincia di Arezzo, dopo fu più come prima. Il 13 aprile 1944, 81 anni fa esatti in questi giorni, si consumò una delle prime e delle più terribili stragi nazifasciste del nostro territorio che avviò un anno atroce, forse il più doloroso della storia delle terre di Arezzo nei secoli: la strage di Vallucciole.
Apparentemente lontano dai grandi avvenimenti della storia, la pace del paese e delle località limitrofe venne duramente troncata il 13 aprile di quell’anno, quando la seconda e la quarta compagnia della Hermann Göring invasero la piccola vallata, distruggendo le abitazioni e massacrando 108 civili innocenti che incontrarono durante il loro cammino.
Come ricorda lo storico Daniel Centrone dell’Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea che ha studiato e scritto sulla vicenda, le cause non sono mai state chiarite a fondo, di certo però a notte fonda i reparti comandati dal capitano Loeben partirono da Stia verso Molin di Bucchio, si fermarono dopo pochi chilometri al casale di Giuncheto, dove abbandonarono i mezzi motorizzati per proseguire a piedi.
In base alle fonti inglesi il contingente, composto da circa ottocento uomini, venne diviso in tre gruppi, due agirono indipendentemente, compiendo un accerchiamento della vallata, mentre uno più esiguo, posto nelle retrovie, svolse funzione di controllo, impedendo l’accesso e la fuga dall’area. Le formazioni che compirono la manovra a tenaglia occuparono, perquisirono e distrussero tutti i centri abitati che incontrarono nel corso dell’avanzata.
Durante il loro passaggio, gli uomini della Hermann Göring, compirono terribili nefandezze e sparsero morte e terrore tra tutte le donne, gli anziani e i bambini che intercettarono lungo il tragitto, mentre utilizzarono gli uomini adulti per il trasporto delle casse di munizioni e degli oggetti prelevati dalle abitazioni.
Una volta terminata la distruzione e la perquisizione delle case, le colonne proseguirono il loro cammino in direzione del Falterona, alla ricerca delle formazioni partigiane segnalate dalle autorità fasciste locali. Conclusasi quest’ultima fase dell’operazione, la colonna tornò a valle, dove vennero infine uccisi gli uomini che erano stati adoperati per la dislocazione delle munizioni e della refurtiva frutto della precedente razzia. La popolazione di Vallucciole, Monte di Gianni, Molin di Bucchio, Serelli e i casali di Giuncheto e Moiano, vennero inesorabilmente colpiti dall’azione.
Dovunque si ripeté la stessa scena, i soldati facevano irruzione nelle abitazioni, prelevavano gli uomini abili al trasporto delle casse di munizioni e degli oggetti depredati dalle case, mentre donne, bambini ed anziani venivano immediatamente uccisi sul posto. Nessuno venne risparmiato. Durante l’ascesa del Falterona coloro che non riuscivano a trasportare i materiali venivano uccisi lungo il tragitto. Il trentasettenne Severino Seri, incapace di poter seguire la colonna a causa della sua cecità venne ucciso a Vallucciole, mentre Pietro Vadi e Angiolo Marchi, il primo sessantasei anni e il secondo settantotto, vennero eliminati lungo il percorso per non esser riusciti a trasportare i materiali.
Nel corso della giornata non mancarono le violenze sessuali ai danni delle donne e terribili uccisioni dei bambini (fino ad un totale di 11 minorenni). Ancora oggi gli storici si interrogano sulle ragioni che portarono ad un eccidio così barbaro e sanguinoso, unico per modalità in tutta la provincia di Arezzo, anche se fu solo il primo di una lunga serie di episodi che colpirono tutto il territorio.
Il dramma ebbe inizio a primavera 1944 e proseguì fino a settembre. Dopo l’eccidio in Valtiberina del 27 marzo a Villa Santinelli con 9 partigiani fucilati, il mese di aprile iniziò immerso nel sangue con le stragi consumate contro le popolazioni civili in Casentino, comprese donne e bambini, a Vallucciole (108 morti), a Partina e a Moscaio di Banzena (in totale 37 morti). Sempre in Casentino il 14-15 giugno fu la volta di Chiusi della Verna dove furono uccise 10 persone.
Il 20 toccò a Montemignaio, dove vennero uccisi 11 uomini; il 26 e 27 giugno a Falzano, a Cortona in Valdichiana, con 11 vittime; il 29 ancora in Casentino a Montemignaio, in località Carbonettoli, 5 persone uccise.Lo stesso giorno, a Castel San Niccolò, in località Cetica, vennero fucilati 13 civili. Sempre il 29 giugno, giorno nefasto per la Valdichiana e il Valdarno, la Hermann Göring colpì a morte Civitella della Chiana, Cornia e San Pancrazio di Bucine, abbattendo con mitragliatrici, fucili e bombe 244 civili inermi e innocenti. Quattro giorni dopo in Valdarno, tra il 4 e l’11 luglio, gli stessi uomini di Civitella, operarono nel comune di Cavriglia e organizzarono la quarta strage nazifascista più terribile mai messa in atto su territorio italiano in quel tempo, con 192 vittime. Il 6 luglio, la scia di sangue raggiunse il comune di Loro Ciuffenna a Mulinaccio e Orenaccio, presso la frazione di San Giustino, dove in totale furono uccisi 47 uomini. Il 14 luglio i nazisti colpirono San Polo con 63 persone falciate.
Nei due mesi successivi la tragica sequela proseguì con l’uccisione, tra luglio e agosto, di numerosi civili a Poppi, Pieve Santo Stefano, Sansepolcro, Sestino e Montemignaio. Una carneficina che non ha mai avuto giustizia. Ci sono centinaia di persone, alcune giunte all’ultimo soffio della vita, che ancora aspettano un segno di riconoscenza da parte dello Stato verso il loro dolore mai davvero sopito.