
Licio Gelli nella sua Villa Wanda ad Arezzo (Ansa)
Arezzo, 27 settembre 2017 - Era uno dei simboli del potere di Licio Gelli, quello che nell’immaginario collettivo ne accompagnava le fughe e i rientri, gli incontri coi potenti e i guai giudiziari. Adesso Villa Wanda, la splendida dimora nella quale il Venerabile ha vissuto per quasi mezzo secolo ed è morto, il 15 dicembre 2015, potrebbe diventare patrimonio statale. Almeno è quel che propongono la questura di Arezzo e il procuratore capo della repubblica Roberto Rossi, che nell’udienza di ieri dinanzi al tribunale ha chiesto il sequestro e la confisca. Come misura di prevenzione nei confronti di un personaggio che anche dopo la morte continua a essere ritenuto pericoloso.
I tre giudici guidati dal presidente della sezione penale Gianni Fruganti dovranno decidere sulla base del codice antimafia del 2011 che si estende ai soggetti non mafiosi purché «debbano ritenersi, sulla base di dati di fatto, dediti abitualmente a traffici delittuosi». Come Totò Riina e Bernardo Provenzano, in sostanza, ma anche senza la coppola del capoclan o del capo dei capi. Ed è questa la situazione, secondo l’allora questore di Arezzo Enrico Moja, che avviò la procedura nel 2016, e secondo il procuratore Rossi, in cui si trovava Licio Gelli finché è vissuto.
A sostegno è stato presentato al tribunale un corposo dossier che ricostruisce la storia delle inchieste sul Venerabile, corredato da un’altrettanto cospicua relazione della Guardia di Finanza sulla sua condizione patrimoniale. Dentro ci sono decine di pagine che ricostruiscono il caso P2, anche sulla base dei lavori della commissione Anselmi, il suo ruolo nel crac del Banco Ambrosiano, che gli costò una delle poche condanne passate in giudicato, le fughe in Svizzera del 1981, dopo la scoperta della P2, e in Francia nel 1998 (appunto dopo la sentenza dell’Ambrosiano), seguita dall’arresto a Nizza con in tasca un minuzioso testamento olografo che distribuiva fra gli eredi decine di miliardi in vecchie lire. Compresi i lingotti d’oro, ritrovati proprio nel giardino di Villa Wanda durante la latitanza del ’98.
In più la Finanza calcola un patrimonio personale che nel 1982, durante la prima fuga, ammontava a 189 miliardi, sempre in lire. Beni, anche all’estero, rigorosamente nascosti al fisco: negli ultimi anni Gelli denunciava un reddito da pensionato, 40 mila euro nel 2015. Eppure pagava 5 filippini solo per il mantenimento di Villa Wanda. La dimora sul colle di Santa Maria, il Venerabile la acquistò nel 1968 dall’imprenditore Mario Lebole per 12 milioni, una sciocchezza.
È solo una leggenda che lì siano state scoperte le liste P2, ritrovate invece nell’ufficio di Castiglion Fibocchi. La villa fu pignorata nei primi anni 2000 per un debito col fisco poi estinto. Ancora il procuratore Rossi ne ottenne il sequestro nel 2013 perchè riteneva che il passaggio di proprietà dalla società dei figli a quella di moglie e nipoti fosse un modo di gabbare l’erario, ma il Venerabile se la cavò con la prescrizione. Ora la moglie Gabriela Vasile e i tre figli Raffaello, Maurizio e Maria Rosa si oppongono alla confisca. A breve il verdetto dei giudici.