DIEGO D’IPPOLITO
Cronaca

Villa Wanda, mistero della targa sparita Ma sul sequestro è ancora scontro

Dopo il rigetto la vicenda è in Corte d’appello: l’Agenzie delle Entrate ha fatto ricorso. L’udienza di febbraio è saltata per l’impossibilità di notificare la citazione al figlio di Gelli

di Diego D’Ippolito

La targa "Villa Wanda" è coperta. Come se non ci fosse più. Forse per proteggerla dalle intemperie, forse per nasconderla. Mistero, verrebbe da dire, anche se proprio quella scritta e quella villa, sono il simbolo dei misteri d’Italia. Eppure, ancora oggi, quella che è stata la residenza di Licio Gelli e il crocevia di alcuni dei personaggi più influenti d’Italia rimane nelle mani della famiglia del "burattinaio", attraverso una società, la Sator, riferibile alla seconda moglie: Gabriela Vasile e al nipote Alessandro Marsili.

L’ennesimo crocevia giudiziario per capire il destino della residenza è finito in un nulla di fatto, proprio alcuni giorni fa. Riavvolgiamo il nastro, ma di pochi anni, nel 2019 la corte d’appello di Firenze, aveva detto no al ricorso del procuratore Roberto Rossi contro la decisione del tribunale che negava la confisca di villa Wanda. Chiuso il filone penale, in sede civile, l’avvocatura di Stato richiese invece di rendere nullo l’atto attraverso il quale la villa era confluita nella Sator, rendendola, difatti, inattaccabile dal fisco che sta ancora cercando di riavere indietro, perlomeno parte dell’evaso del Gelli. Nulla da fare, il tribunale ha detto nuovamente no e ora tutto staziona in Corte d’appello dopo il ricorso da parte dell’Agenzia delle Entrate. Prima il Covid, ora un difetto di notifica, fattostà che anche l’appuntamento in appello di febbraio è saltato. Uno dei figli del Venerabile si troverebbe in Guatemala, impossibile notificargli l’atto e così tutto rimandato a data da definire.

E la villa rimane lì, invendibile, perché c’è un giudizio in pendenza, ma in forma quasi come ai tempi dell’oro dei chili di lingotti che custodiva nelle fioriere. Negli ultimi anni sulla villa ci sono stati degli importanti interventi di manutenzione, d’altronde sono passati tanti anni da quando nel 1968 Gelli l’acquistò dalla famiglia Lebole.

Quasi 41 ne sono invece passati da quando i finanzieri spediti ad Arezzo da Gherardo Colombo e Giovanni Turone, trovarono nella sede della Giole a Castiglion Fibocchi la lista dei 962 appartenenti alla Loggia P2. Militari, questori, giornalisti, imprenditori, politici uno stato nello stato, un terremoto per le istituzioni italiane, da quel momento è stata scritta una storia che ancora oggi attraversa tutti i misteri d’Italia. Quasi 42 gli anni passati dalla strage di Bologna, proprio per il depistaggio delle indagini della strage oltre che per la bancarotta del Banco Ambrosiano, Gelli è stato condannato.

Proprio in questi giorni è calata un’altra ombra, la più pesante, su Licio Gelli e ritornano sia la strage che il Banco Ambrosiano. A Bologna si sta svolgendo un processo a Paolo Bellini e ai mandanti della strage che, secondo l’accusa, sarebbe stata ideata e finanziata da Gelli, attraverso un flusso di denaro proveniente dal Banco Ambrosiano. Durante la requisitoria del processo a carico della primula nera Paolo Bellini, il Procuratore Generale Umberto Palma ha riavvolto i fili sul giro di quel partito dal Banco Ambrosiano di Calvi e passato per i conti svizzeri di Licio Gelli. Procura Generale che ha chiesto l’ergastolo, con isolamento diurno per 3 anni, per l’ex Avanguardia Nazionale Bellini, con l’accusa di essere uno degli autori della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, in concorso con gli ex Nar già condannati e con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti e non più imputabili, ma ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato.