
Rinvio a giudizio per violenza sessuale. Nella foto in alto, il giudice Claudio Lara
Arezzo, 5 marzo 2025 – “Il collega mi ha palpato il seno, in ufficio”. E ora ha cambiato lavoro. La vicenda è arrivata prima alla polizia con una querela e poi in tribunale: adesso il cinquantenne andrà a processo con l’accusa di violenza sessuale. Il processo inizierà il prossimo 6 maggio davanti al collegio presieduto dalla giudice Anna Maria Loprete. Ieri intanto, davanti al giudice per le indagini preliminari Claudio Lara, si è svolta l’udienza preliminare. In camera di consiglio, a porte chiuse. La decisione del gup è stata il rinvio a giudizio, accogliendo la richiesta della pm Emanuela Greco.
Il capo d’imputazione del procedimento è il 609 bis, violenza sessuale, che punisce chi con violenza o minaccia o abuso di autorità costringe qualcuno a compiere o subire atti sessuali.
E così sarebbe accaduto in un’azienda aretina ad una giovane donna, sui quaranta anni. Lei ha un compagno e lo mette in chiaro sin da subito con il collega, più grande, ora imputato in tribunale. Non c’era stata nessuna relazione tra i due, neppure una frequentazione. Si erano conosciuti al lavoro, per motivi esclusivamente professionali.
Lui però avrebbe voluto altro. Almeno secondo la versione della donna che ha denunciato alla polizia quello che è accaduto mentre era al lavoro.
Ha detto agli agenti di esser stata palpata due volte: la prima volta, fece finta di nulla, seppur scioccata e schifata dal gesto. Poi lui avrebbe fatto il bis. Un’ennesima toccata al seno. E qui la lavoratrice ha chiamato i soccorsi, stavolta spaventata dal ripetersi del gesto. Così si è attivato il protocollo codice rosso, previsto dalla Asl.
Nel giro di poco è scattata la denuncia e adesso del caso se ne discuterà al tribunale di Arezzo. La donna è assistita dall’avvocata Lorenza Calvanese, mentre l’imputato dalla legale Cinzia Scotto. Con ogni probabilità il dibattimento rispecchierà lo schema della “mia parola contro la tua“, con una serie di testimoni che potranno riferire in aula soltanto dello scenario di contesto piuttosto che dei due episodi oggetto del procedimento. L’uomo rischia dai sei ai dodici anni con la possibilità di una riduzione della pena di massimo due terzi per i casi meno gravi.