LUCIA BIGOZZI
Cronaca

"Vivo quel dramma ogni giorno". Il racconto del figlio di una vittima che da ottant’anni chiede giustizia

Camici: "I tedeschi hanno ucciso babbo e nonno sotto gli occhi della mamma: io ero nella sua pancia". Sarà in tribunale "per difendere la loro memoria e il riconoscimento delle responsabilità dei tedeschi".

"Vivo quel dramma ogni giorno". Il racconto del figlio di una vittima che da ottant’anni chiede giustizia

"Vivo quel dramma ogni giorno". Il racconto del figlio di una vittima che da ottant’anni chiede giustizia

Quel giorno lui c’era, anche se non era ancora venuto al mondo. 4 luglio 1944: Giampaolo Camici era nel grembo della madre Cesarina. Lei ha visto il sangue, i corpi massacrati dai nazisti nelle esecuzioni a Meleto. Lei ha vissuto in presa diretta la strage. Prima il marito Andrea, trucidato nell’aia Melani insieme a una ventina civili, poi il padre Giovanni, ucciso nell’aia Pecci. Quel giorno morirono sotto il fuoco delle mitragliatrici della Wehrmacht centonovantadue persone, rastrellate in paese e divise a piccoli gruppi, prima dell’ultimo alito di vita.

"Ero nella pancia della mamma, sono nato quattro mesi dopo, a novembre. Mia madre mi ha sempre raccontato ogni dettaglio di quella tragedia, al punto che posso dire di averlo vissuto insieme a lei", rievoca Giampaolo che a Cavriglia è responsabile territoriale dell’associazione nazionale famiglie e martiri. Centonovantadue martiri molti dei quali "irriconoscibili per come erano stati massacrati. Mamma mi raccontava che rientrando a Meleto insieme alla nonna dopo una visita allo zio imprigionato dai tedeschi in un casolare, vide colonne di fumo nelle aie dei contadini e avvertì cattivo odore. Vide uno dei contadini che con un forcone, girava i corpi delle vittime. Fu in quel momento che riconobbe il mio babbo; poco distante, scoprì anche il cadavere del nonno. Se lo immagina cosa deve aver provato una ragazza in attesa di un bambino?", domanda e forse continua a domandarsi Giampaolo che oggi sarà nell’aula del tribunale dove si apre il processo civile per la strage di Cavriglia.

Sono 120 i ricorrenti, familiari delle vittime che da quasi ottant’anni chiedono e attendono giustizia. Non è solo una questione di risarcimento, almeno per Giampaolo non è questa la priorità. Perchè al primo posto, la comunità di Cavriglia mette "il riconoscimento delle responsabilità dei tedeschi nell’eccidio di Cavriglia, finora rimasto fuori dai processi intentati contro la Germania.

Oggi a Firenze, in corte d’appello, Giampaolo Camici sarà con il sindaco Leonardo Degl’Innocenti o Sanni, la sua giunta e tutte le persone che hanno risposto all’appello del primo cittadino alla mobilitazione.

"Ci sarò per difendere la memoria, la dignità, di un padre e di un nonno che non ho mai conosciuto e perchè la giustizia certifichi le responsabilità dei tedeschi in questo massacro". Lui è cresciuto senza la figura paterna e questa assenza ha finito per condizionare tutta la sua vita, negli snodi cruciali, nei passaggi che segnano momenti gioiosi e scalate impervie, al bivio delle scelte. "Mi è mancato tantissimo il babbo, nonostante la mamma sia stata una donna eccezionale. Era lei a farsi carico delle altre vedove a Meleto e ha tirato avanti con grande coraggio pensando alla famiglia. È morta nel 2010, a centodue anni. Una donna straordinaria". Non è facile raccontare l’assenza di un padre che accompagna un bambino all’ingresso della scuola e lo mette a confronto con i compagni che, invece, tengono per mano il padre. O di un adolescente richiamato dalla professoressa che vuole scrivere una nota ai genitori e gli chiede dove sia suo padre. E lui: "Me l’hanno ammazzato i tedeschi. La professoressa ci rimase male e si scusò".

Difendere la memoria, non lasciare soli quelli che sono morti, portarli in ogni giorno con i ricordi e l’affetto: la gente di Cavriglia lo fa da quasi ottant’anni. Giampaolo ha un rammarico: "Alle commemorazioni per l’eccidio, vedo sempre meno gente, sopratutto giovani".