GAIA PAPI
Cronaca

"Volevo spaventarla, ero sfinito". Dall’omicida rose rosse al funerale

Sacchi interrogato in carcere: "Serenella non voleva andare a letto". Dopo lo sparo si è seduto accanto a lei. I legali stanno valutando tre Rsa dove trasferire l’uomo di 80 anni. Pronta la richiesta di arresti domiciliari.

"Volevo spaventarla, ero sfinito". Dall’omicida rose rosse al funerale

"Volevo spaventarla, ero sfinito". Dall’omicida rose rosse al funerale

"Volevo solo spaventarla". Alessandro Sacchi ieri, davanti al Pm Marco Dioni e al giudice Stefano Cascone, ha raccontato ancora una volta la sua verità. Quella che già nell’immediatezza dell’omicidio di sua moglie aveva detto con un filo di voce a polizia e magistrato. Ieri però, in fase di interrogatorio in carcere, ha aggiunto un particolare. Il fatto, appunto, che il suo intento non fosse quello di uccidere la moglie, Serenella, di 74 anni, ma solo di spaventarla, nell’intento di persuaderla ad andare a letto. Nell’interrogatorio l’uomo, 80 anni, pur con dei comprensibili vuoti di memoria, ricorda con una certa lucidità che la moglie non voleva andare a dormire. "Era mezzanotte, io ero sfinito" ha detto davanti al pubblico ministero, come riportano i suoi avvocati: Stefano Sacchi, il nipote, e Piero Melani Graverini.

Un banale diverbio tra marito e moglie, forse l’ennesimo, in una vita diventata difficilissima a seguito della malattia, una forma grave di Alzheimer che da anni si era impossessata dell’amata moglie Serenella Mugnai. Quella sera di fronte al rifiuto della donna che la malattia negli ultimi tempi aveva reso particolarmente irascibile, Sacchi ha preso una vecchia pistola di proprietà del padre che conservava nel cassetto di una scrivania, l’ha impugnata, è tornato in cucina e ha sparato. Un solo colpo, fatale per la donna. "Poi si è seduto su una sedia, voleva chiamare i soccorsi ma era confuso e non ricordava i numeri" racconta l’avvocato Piero Melani Graverini.

Così è sceso al piano di sotto e ha bussato ai vicini, amici di Serenella, e ha chiesto loro aiuto. All’arrivo degli agenti della Squadra mobile, Sacchi era abbracciato alla moglie ormai senza vita, era rimasto seduto accanto a lei dopo averla uccisa. "Non ce la facevo più" avrebbe ripetuto più volte. Per lui, da quella sera, si sono aperte le porte del carcere di San Benedetto: è accusato di omicidio volontario aggravato dal rapporto coniugale.

La tragedia nella notte tra giovedì 21 giugno e il 22, in un appartamento in viale Giotto, quartiere residenziale della città, dove i due avevano trascorso una vita insieme, solo loro, senza figli. "Una coppia da sempre molto unita", lo dicono tutte le persone che li hanno conosciuti. Poi la malattia che da anni attanagliava Serenella e con lei il marito che, da solo, ha dovuto affrontare il peso di una male che trasformava la moglie. Malattia degenerativa, secondo il codice sanitario. Un fardello enorme da sopportare, soprattutto alla sua età. Sacchi a febbraio aveva assunto una donna che lo aiutava nella gestione della moglie. Ma forse la sua disperazione e la sua stanchezza avevano ormai preso il sopravento. Adesso, "stiamo valutando alcune Rsa, tra cui una a Monte San Savino, dove Sacchi possa essere accolto e dove scontare i domiciliari, la sua casa continua ad essere sotto sequestro. Una struttura dove possa trascorrere i suoi ultimi anni in serenità, ma sotto un occhio attento per scongiurare l’eventualità di un gesto estremo - continua l’avvocato Melani Graverini. Solo qualche giorno, dopodiché faremo richiesta al Gip per la scarcerazione. Poi spetterà al Pm accettare o meno la nostra istanza".

Intanto Sacchi rimane in carcere, dove, fin dalle prime ore, ha sempre detto di aver trovato conforto e umanità. "Non mi sarei mai immaginato di trovare un ambiente così" ha detto ai suoi avvocati. "Da una vita, diventata durissima, a un ambiente in cui detenuti e agenti della penitenziaria non perdono mai occasione di fargli sentire la loro vicinanza. Tutti hanno un occhio di riguardo nei suoi confronti" spiega Melani Graverini. E c’è anche chi ricorda quel mazzo di rose rosse che Sacchi ha inviato dal carcere alla sua Serenella, nel giorno dei funerali.