
greta scacchi
AREZZO 31 luglio 2015 - HA APPENA finito di girare «Guerra e pace» per la Bbc nel ruolo della contessa Rostova, quarantatré anni dopo il «Guerra e pace» recitato da Antony Hopkins. Greta Scacchi aveva solo 12 anni e vedendo Hopkins recitare con tanta naturalezza e bravura rimase ipnotizzata e decise che quello sarebbe stato il suo mestiere. A teatro, però. Strano gioco, quello del destino, perché Hopkins e la Sacchi si sono ritrovati parecchi anni dopo a Cortona e qui l’attrice è tornata in questi giorni ospite del Mix Festival.
E’ nata in Italia, a quattro anni si è trasferita a Londra, a 15 in Australi, ma il legame con l’Italia è forte.
«Ho un affetto particolare per la Toscana e l’Umbria in particolare. Da giovane viaggiavo molto con mio padre che mi ha fatto conoscere tutta l’Italia. Torno per ritrovare gli amici e rivedere i luoghi di mio padre che non c’è più».
Che fosse innamorata dell’Italia si è capito anche dalla sua trasmissone su Sky «Capolavori svelati».
«Non sono un’esperta d’arte, mi hanno cercata perchè facessi riscoprire con semplicità e senza accademismi i pittori e i loro capolavori in Italia, a Parigi, a Londra. Questo mi ha permesso di capire finalmente il Rinascimento, questa grande moderna eccitante rivoluzione: Piero della Francesca è stato per il Cinquecento come Picasso per il Novecento».
Ha girato con registi di tutto il mondo, esiste uno stile prettamente italiano?
«Devo andare indietro di trent’anni. Gli italiani sono criticati perché poco organizzati, ma la leggerezza e l’amore per la vita traspare in tutto quello che fanno».
Trent’anni di carriera fra i set cinematografici e i palcoscenici teatrali. Cos’è cambiato?
«Sono cambiate tante cose. Mi sento benedetta per essere stata di una generazione capace di sentire ancora gli effetti dei cambiamenti creativi del XX secolo. Quello che non vedo nelle generazioni di oggi, per loro è difficile capire il passato, vivono il presente, l’attimo, con poca concentrazione».
Ha conosciuto e lavorato con grandi attori e grandi registi. Una vera e propria scuola.
«Per due mesi nel 1974 ho lavorato con Laurence Olivier, lui aveva 74 anni io 13, giravamo per la tv inglese il film ’The ebony tower’ dal libro di John Fowles. L’ho sentito raccontare il grande teatro nazionale. Quello che sognavo di fare. A 23 anni ho girato ’Calore e polvere’ di James Ivory con Julie Christie, ho lavorato con Altman, Von Trotta, i Taviani, James Mason. Quello era un cinema rivoluzionario, sono orgogliosa di aver vissuto quei valori. Una vera lezione di vita».
E oggi?
«Oggi si gira in un altro modo, anche qui la concentrazione è limitata. I progressi tecnici velocizzano tutto e permettono di correggere errori di suono, luci, fotografia. Anche il ruolo dell’attore è cambiato, ci si sente come pendolari in metropolitana: schiacciati fra il tempo e lo spazio».
Ha dovuto fare compromessi?
«Ho avuto la fortuna di poter scegliere registi e copioni senza cercare per forza fama e gloria, ho fatto scelte testarde che mi hanno permesso di lavorare con Altman e i Taviani, con Alan Pakula e Harrison Ford in ’Presunto innocente’, lo stesso regista che ha fatto recitare Jane Fonda come nessuno aveva mai fatto prima facendole vincere un Oscar».
E’ cambiato anche il ruolo della donna?
«La donna ha fatto enormi passi come ruolo e personaggi anche se la lotta non è ancora finita. A Hollywood stranamente i cambiamenti sono molto lenti, ancora non c’è uguaglianza nemmeno sulla paga. Ma la voce delle donne oggi è più vera. Negli anni Ottanta ho cercato di lavorare con registe donne, ce n’erano solo tre: la tedesca Margarethe Von Trotta, la francese Diane Kurys, l’australiana Gilian Armstrong».
E ora anche sua figlia fa l’attrice
«Leilia George è a Hollywood, non ha seguito il teatro come me che sognavo la Royal Shakespeare Company, ha studiato il metodo americano. Ha talento e mi auguro che abbia successo. Nell’agosto scorso abbiano fatto ’Il gabbiano’, la vecchia attrice insieme con la giovane, un battesimo perfetto».
Silvia Bardi