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Un'opera di Filippo Rossi
Arezzo, 14 febbraio 2025 – Ad Arezzo, capitale italiana dell’oreficeria, una mostra per esplorare i significati dell’oro nell’arte attraverso i secoli. Sarà ospitata negli spazi della Fraternita dei Laici (via Giorgio Vasari 6) “ORO. Tesoro, Bellezza, Luce, Vita”, personale dell’artista Filippo Rossi a cura di Mons. Timothy Verdon.
L’utilizzo dell’oro contraddistingue da oltre 30 anni la ricerca artistica di Rossi, declinato in prospettive sia materiali che estetiche, sia teologiche che cosmiche.
In questo l’artista si rimette ai maestri di cui scrisse Giorgio Vasari, i quali nell’oro vedevano ricchezza materiale e ornamento, ma anche metafora di illuminazione spirituale e pienezza esistenziale.
Non a caso l’esposizione – che sarà inaugurata sabato 22 febbraio alle 17.30 – si inserisce nell’ambito di “Arezzo. La città di Vasari”, sistema di celebrazioni per rendere omaggio al maestro aretino nei 450 anni dalla morte, promosso da Comune di Arezzo e Fondazione CR Firenze con Fondazione Guido D’Arezzo, in collaborazione con Direzione regionale Musei nazionali Toscana del Ministero della Cultura, Gallerie degli Uffizi, con la curatela del comitato scientifico presieduto da Carlo Sisi.
Catalogo edito da Leonardo Libri Polistampa (ingresso gratuito, info www.vasari450.it). Saranno quattro gli ambienti attraverso cui si articolerà la mostra: “un percorso conoscitivo oltre che emotivo – come lo definisce l’artista stesso – dai secoli descritti dal Vasari fino al presente, mettendo in evidenza i valori che l’oro ha rappresentato”.
In ogni spazio le opere di Rossi affrontano l’oro da un punto di vista diverso, in dialogo con grandi capolavori del passato, in riproduzione. Nella prima sala, quella del “Tesoro”, un dettaglio de “La miniera d’oro” di Jacopo Zucchi, discepolo e collaboratore di Vasari, farà da contrappunto a opere scultoree e dipinti di Rossi focalizzati sull’attrattiva fisica dell’oro, patrimonio di pochi che costa la fatica di molti.
Si passa al secondo ambiente, dedicato alla “Bellezza”. La connessione tra oro e avvenenza è un tema antico, già presente nel mito della mela aurea consegnata da Paride a Afrodite, come testimonia il dipinto di Peter Paul Rubens “Giudizio di Paride”.
Partendo da questa suggestione Rossi applica una foglia d’oro su materiali diversi – stoffa, juta, polistirene estruso – trasmettendo sensazioni tattili tra il sensuale e il sacro. Si procede verso la “Luce”: l’oro utilizzato per connotare le stelle o il sole, come fece Gentile da Fabriano nella sua “Fuga in Egitto”, richiama uno dei temi prediletti di Rossi, il Cristo come luce, rappresentato in questa sala da un monumentale “Albero della Vita”, oltre 4 metri di foglia d’oro su tela.
Infine la “Vita”, ultimo passaggio della mostra in cui il “Battesimo di Cristo” di Piero della Francesca offrirà la chiave di lettura a un’altra opera monumentale, una crux aurea che riprende l’immagine pierfrancescana trasfigurando la croce come strumento di morte in strumento di salvezza.
“L'esposizione di Filippo Rossi, ospitata nella splendida cornice della Fraternita dei Laici, rappresenta un evento di grande prestigio per la nostra città e ancora un'occasione per celebrare il genio di Giorgio Vasari. Arezzo, città simbolo dell'arte orafa italiana, si conferma un centro di cultura vivace e dinamico, capace di ospitare eventi di respiro nazionale e la mostra ci invita a riflettere sul profondo significato che l'oro ha rappresentato per l'arte, attraverso un percorso espositivo che partendo dai maestri del passato arriva fino ai giorni nostri e che sono certo saprà affascinare i visitatori”, dichiara il sindaco e presidente della fondazione Guido d'Arezzo Alessandro Ghinelli.
“Questa di Arezzo – dice Mons. Timothy Verdon – sarà la più grande mostra di Filippo Rossi in Italia dopo la personale a Palazzo Medici-Riccardi di Firenze nel 2015. Chiude così in gloria l’anno vasariano, riportando in Toscana un artista celebrato in Europa e negli USA, il cui sviluppo concettuale e materico continua a sorprendere e a commuovere”.
“Il mio utilizzo dei segni dell’oro e soprattutto del segno sacro della Croce – spiega Filippo Rossi – esprime la ricerca di una fusione della forza espressiva dell’arte, di quell’arte che parla con la propria voce e non è mera ripetizione, e della grandezza di pensiero elaborata nella tradizione della Chiesa.
Quando superiamo ciò che è inadeguato e superficiale, ci troviamo a fare un viaggio pericoloso verso un mistero più alto. Io, quando penso un’opera, mi chiedo: “La mia arte è un’espressione della mia vita interiore?” La mia arte diventa, cioè, testimonianza personale: non un esercizio estetico ma una professione di fede.
Proprio quella fede obbliga l’artista ad esporsi, fornendo lui stesso la chiave ermeneutica del suo lavoro, che forse non è immediatamente evidente a chi lo vede. Anche se il soggetto di un’opera è il dramma o la sofferenza personale dell’artista, ciò che conta è che lo sguardo dello spettatore venga portato al Mistero, che sempre offre uno spiraglio di speranza”. Filippo Rossi (1970) esplora i temi dell'arte cristiana da oltre 20 anni, con opere e installazioni esposte in musei e collezioni pubbliche e private, e per questo è stato tar gli artisti invitati all’incontro con Benedetto XVI.
Fuoco della sua ricerca è la richiesta di sosta di fronte all’immagine, così che l’opera, all’inizio affascinante per colori e composizione, acquisti a una più profonda lettura un “senso-altro”, creando un colloquio intimo, quasi un dialogo tra l’arista-creatura e il suo Creatore.
I suoi lavori sono silenziosi e asciutti, e in essi l’unica concessione all’opulenza è l’utilizzo dell’oro, che viene controbilanciato dalla povertà delle tinte e dei materiali. “Arezzo.