Arezzo, 1 maggio 2019 - Un 1 maggio senza sorriso. Oggi sindacati e mondo del volontariato si troveranno al parco del Foro Boario per fare il punto sulla situazione lavorativa ad Arezzo e provincia ma si sa già che la situazione non è rosea. Uno dei punti da cui partire è sicuramente il dato diffuso circa un mese fa: Arezzo è la provincia italiana dove l’occupazione è calata in maniera più massiccia, - 3,1% nel 2018 rispetto al 2017.
E anche se gli stessi sindacati hanno espresso scetticismo su questo dato, resta il fatto che il momento è difficile. A fare il punto è Alessandro Mugnai, segretario provinciale della Cgil: «Lo vado dicendo da tempo e ormai mi pare chiaro: siamo in stagnazione, il sistema regge a malapena, ma non si va avanti. Prendiamo i casi Cantarelli o Del Tongo: detta in estrema sintesi sono posti di lavoro che non ci sono più».
Sul fronte disoccupazione, al 31 dicembre dello scorso anno la percentuale si è assestata al 9,3%, un po’ in calo rispetto all’anno precendente, quando la percentuale dei disoccupati era del 9,7. Guardando il trend, comunque, si può notare come dal 2014, anno in cui la disoccupazione era al 9,3%, fino alla fine dello scorso anno la situazione è rimasta sostanzialmente la stessa, con un picco del 10,3% nel 2015.
Mettendo un momento da parte i dati Istat e andando a guardare quelli dei centri per l’impiego, a febbraio gli iscritti erano 36758 i tutta la provincia, di cui 20865 donne. Un dato in aumento rispetto al febbraio del 2017 quando gli iscritti erano 36054. In questo quadro dalle tinte incerte, si innestano la novità portate dal decreto dignità che però, avverte sempre Mugnai, non riesce a dare la giusta spinta alle assunzioni: «Manca il consolidamento. Consideriamo il tessuto produttivo di Arezzo e provincia, è formato da piccole e medie imprese che non sentono quella ventata di ottimismo che si voleva alimentare con i provvedimenti governativi. Dove le aziende assumono, lo fanno a tempo determinato o con quei contratti che io definisco pirata».
Il problema, secondo Mugnai, è che ai paletti piantati per impedire l’abuso di contratti a tempo oppure atipici, non corrisponde una riorganizzazione del tessuto produttivo: «Reddito di cittadinanza, salario minimo garantito non garantiscono in realtà una crescita. Bisognerebbe, intanto, togliere di mezzo tutta quella massa di contratti atipici di cui si fa largo uso. Ma mancano scelte coraggiose. Nel settore manifatturiero nessuno può considerarsi ‘non a rischio’, a parte chi lavora per realtà molto grandi, che però da queste parti si contano».
Mugnai imfine lancia un durissimo j’accuse indirizzato alle istituzioni: «In passato, quando avevi un territorio ad alta vocazione produttiva lo organizzavi in distretti per garantire la massima operatività. C’erano facilitazioni per l’accesso al credito, c’era collaborazione fra le varie realtà. Adesso, ognuno gioca la partita da solo. Il territorio è fermo, 7500 addetti orafi lavorano in aziende medie e piccole, escluso alcuni bolidi come Prada o Unoaerre, gli altri vanno avanti tra mille difficoltà. Sarebbe il momento di tornare a fare sistema».