
Franco Chioccioli
Arezzo, 16 giugno 2021 - Oggi 30 anni fa, Franco Chioccioli, nato a Castelfranco ma vissuto fin da piccolo a Pian di Scò, coronava la sua carriera dominando il Giro d’Italia 1991 che si concluse domenica 16 giugno davanti al Castello Sforzesco a Milano. Nel dopoguerra solo nel 1946, la corsa rosa finì più tardi. Chioccioli che il 25 agosto prossimo compirà 62 anni (portati benissimo) è sposato con Claudia e ha due figli, è tecnico della squadra di Elite e Under 23 della Rosini di Rigutino e ha un agriturismo a Pian di Scò. Franco era soprannominato il Coppino per la somiglianza col Campionissimo Fausto Coppi: «Non mi voglio certo paragonare a un fenomeno come Coppi ma fu bello in quel Giro da me vinto che i tifosi in qualche modo ricordassero analogie fisiche con incitamenti, striscioni, cartelli». Franco, sono passati già 30 anni da quei giorni indimenticabili. Vogliamo provare a ricordarli? «Il tempo è volato via, ma è ovvio che rimane un ricordo indelebile, dolcissimo e sarà sempre così. Dopo la delusione del Giro ’88 che persi nell’inferno del Gavia, nel ’91 il mio obiettivo era conquistare qualche tappa. La partenza dalla Sardegna, io subito in gran forma, presi la maglia rosa e avrei vinto anche la breve crono se non fossi caduto in partenza. Poi persi il primato dal francese Boyer a Sorrento ma il giorno dopo a Scanno io e lo spagnolo Lejarreta staccammo tutti. A lui la tappa, a me il primato». Che non mollasti più... «Pensavo di perdere la maglia nella crono di Langhirano. Bugno che era un campione e aveva dominato il Giro del ’90, vinse ma io mi difesi bene e restai al vertice per un solo secondo. Poi cominciarono le montagne». E in salita fu un vero dominio... «Già nella tappa del Mortirolo feci il vuoto, 50 chilometri da solo, compreso il Santa Cristina, prima dell’arrivo all’Aprica. Due giorni dopo staccai ancora tutti nell’arrivo al passo Pordoi dopo la dura ascesa alla Marmolada». Lì in pratica il Giro era nelle tue mani... «Ero messo molto bene ma non si sa mai in una corsa a tappe, basta una caduta, un niente e perdi tutto in un attimo». Il capolavoro fu tuttavia la maxi cronometro del penultimo giorno da Broni a Casteggio nell’Oltrepò Pavese, vero? «Sì. io a crono mi difendevo bene ma c’erano più forti di me. Solo che in quel periodo volavo, avevo una condizione super, la crono era impegnativa. Vinsi con 52“ su Bugno, si fu un capolavoro e il giorno dopo il trionfo a Milano. Avevo coronato il mio sogno, vincere il Giro d’Italia». E’ stato il momento più alto della tua carriera. E invece il rammarico? «Il Giro dell’88 perso nella giornata da tregenda del Gavia e non aver mai fatto classifica al Tour de France. Vinsi una bella tappa nel ’92 a S.Etienne ma se mi fossi preparato bene, almeno un Tour de France nelle prime posizioni potevo concluderlo». Oggi sei il tecnico della Rosini... «Mi piace, è il mio mondo ma non era facile prima, figuriamoci in tempi di Covid. Due stagioni complicatissime. E poi temo che questi ragazzi abbiano poco futuro nel ciclismo visto che mentre prima l’Italia era la nazione regina come club tra i professionisti, oggi gli sponsor non investono più. Troppe tasse e altri problemi». Il più forte con cui hai corso? «Bernard Hinault, fuoriclasse assoluto, quasi imbattibile nelle gare a tappe, fortissimo in linea. Poi Indurain, meno completo ma nei Grandi Giri vinceva quasi sempre». Un corridore di oggi che ammiri? «Un nome solo? Bernal».